Roma - L'indagine "Ecosistema Rischio 2008" realizzata da Legambiente Lazio fornisce un risultato piuttosto allarmante: il 73% dei Comuni laziali è a rischio idrogeologico. Il pericolo concreto, dovuto all'interazione tra la superficie e le acque, è quello di fenomeni naturali come alluvioni, frane, smottamenti, inquinamento delle falde idriche, erosione delle coste che può provocare danni all'ambiente e alle persone. L'attività di monitoraggio svolta da Legambiente ha messo in risalto anche l'opera di mitigazione del rischio idrogeologico svolta dai comuni capoluogo: solo Roma e Frosinone attuano sufficienti misure di previsione e prevenzione in tale direzione, mentre Rieti ha ricevuto una valutazione fortemente negativa.
"La situazione è preoccupante poiché il territorio italiano è ad elevatissimo rischio geologico", afferma il responsabile del movimento Italia dei Diritti per la Regione Lazio, Vittorio Marinelli, il quale sottolinea come in materia esista una legislazione arcaica che risale addirittura ad un Regio Decreto dei primi del Novecento. "Il problema - prosegue Marinelli - è quello della frammentazione delle competenze, ripartite tra Regioni, Province, Comuni e Comunità montane". A fronte di questa quadro generale, l'esponente dell'Italia dei Diritti denuncia anche la condizione di precarizzazione diffusa degli esperti del settore: "Sempre più spesso assistiamo al licenziamento di geologi e tecnici, ultimo caso il licenziamento dei precari dell'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che insieme ad altri enti ha la competenza di tutela ambientale e di salvaguardia del territorio italiano". In relazione ai risultati forniti dall'indagine di Legambiente Lazio, Marinelli afferma: "Purtroppo non ci stupiamo di questo dato che fotografa una realtà che geologi ed esperti denunciano inascoltati da tanto tempo" e conclude con una amara riflessione: "Come è nel malcostume italiano si aspetterà il prossimo disastro che, sulla scia delle tante sciagure storiche annunciate, dal Vajont alle varie alluvioni del Sarno, potrebbe verificarsi da un momento all'altro".
LA PETIZIONE DA FIRMARE
lunedì 20 ottobre 2008
Rischio idrogeologico per il 73% dei Comuni laziali
Dalle frane al nucleare, chi vigilerà sull'Italia?
Tagli Ispra, a rischio anche i controlli ambientali?
ROMA. Impedendo la stabilizzazione e di fatto mettendo alla porta centinaia di ricercatori dell’Ispra, il governo sottopone il paese a grave rischio perché verrebbero meno i controlli ambientali in settori critici come quelli dei rifiuti, del nucleare e della difesa del suolo. Dietro i numeri snocciolati dal governo e allocati alla voce tagli vi sono centinaia di ricercatori, con esperienza pluriennale e spesso con curricula internazionali che da anni portano avanti in una situazione di notevole criticità l’attività di protezione dell’ambiente. Il governo giustifica la rinuncia alla stabilizzazione come un necessario taglio alla spesa pubblica ma non viene considerato quanto costeranno allo stato i danni causati da un indebolimento così radicale della sicurezza e dei controlli ambientali. Mandare a casa quasi 700 ricercatori dell’Ispra, che da luglio ha incorporato l’Apat, significa che a partire dalla fine dell’anno sono a rischio controlli ambientali in settori come quelli dei rifiuti, nucleare, difesa del suolo, emergenze ambientali, siti contaminati ed emissioni in atmosfera. Per essere chiari chi monitora le frane che squassano il paese o chi controlla le scorie nucleari ancora presenti nel nostro paese se l’organico dell’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale vedrà il suo organico ridotto ai minimi termini? Oltre all’ennesima e penalizzante fuga di cervelli, il taglio delle risorse avrà non solo prevedibili e gravi ricadute sociali ma comporterà anche la forzata rinuncia ai controlli ambientali e di conseguenza –l’Italia si troverà subissata di sanzioni Ue. * Senatore e capogruppo Pd in commissione Ambiente |
Ecco a che servono i tagli!
Nucleare, arriva l'Agenzia per la sicurezza
Il Messaggero - ROMA (20 ottobre) - Arriva l'Agenzia per la sicurezza nucleare. Lo prevede il ddl collegato alla Finanziaria in discussione in queste settimane in Parlamento. La commissione Attività produttive della Camera ha dato il via libera al pacchetto energia che passerà a breve all'esame di palazzo Madama.Ma la gestazione della nuova Authority non è stata certo facile. Sulla nascente Agenzia, che dovrà avere compiti tecnici, di valutazione e di indirizzo, è scoppiata una specie di guerra di attribuzioni: infatti, fino ad oggi le competenze sul nucleare erano dell'ex Apat (oggi Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ovvero del ministero dell'Ambiente, mentre a volere un ruolo di primo piano sono il ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola e l'Enea.
La querelle è stata risolta dai provvedimenti approvati dalla commissione di Montecitorio che, se confermati dai senatori, prevedono che l'Agenzia del nucleare sia in capo alla presidenza del Consiglio. Il presidente della commissione, Andrea Gibelli, esprime «grande soddisfazione per il lavoro scrupoloso e per il clima sereno e collaborativo con cui si è lavorato».
L'accordo prevede che l'organizzazione e il funzionamento interni della nascitura Agenzia saranno stabiliti attraverso un decreto «del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministero dell'Ambiente, d'intesa con lo Sviluppo economico». Un'altra novità, derivante dagli emendamenti approvati dalla Camera, prevede la nascita di una nuova Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile. Si chiamerà Enes e sostituirà l'Enea (l'attuale Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) che viene soppresso. Con la delega approvata dalla commissione Attività produttive il governo potrà predisporre la normativa entro il 30 giugno 2009. Un emendamento approvato prevede che «le aree per gli impianti nucleari saranno particolarmente protette» e fissa facilitazioni per le autorizzazioni per la costruzione, compresi gli espropri.
«Le spese di funzionamento degli organi dell'Agenzia per il nucleare - si legge nel ddl sviluppo - costeranno 500mila euro nel 2009 e 1,5 milioni a regime dal 2010». L'Agenzia sarà operativa dal secondo semestre 2009. Per quanto riguarda la copertura finanziaria a regime, a partire dall'anno 2010 - come emerge dalla documentazione governativa - «è ipotizzabile, in aggiunta, un meccanismo di autofinanziamento che sia basato sulla contribuzione da parte delle imprese operanti nel settore nucleare per i servizi resi dall'Agenzia». Mentre «i costi di funzionamento relativi a personale, risorse strumentali e logistiche saranno neutrali dal punto di vista finanziario perché integralmente compensati da corrispondenti diminuzioni di spesa per Ispra ed Enea».
Il tutto mentre l'Enel continua nel lavoro di preparazione tecnica, che dovrebbe portare all'operatività delle prime centrali nel 2017. La macchina guidata da Fulvio Conti (ad di Enel) si è messa in moto e aspetta di entrare a pieno regime. Infatti Conti ha già annunciato un piano di investimenti da 20 mld di euro, assicurando che tutto è pronto per il ritorno al nucleare.
Assunzioni Sgm. Interviene Bellanova
"C'è una contraddizione evidente nel comportamento del centrodestra a livello nazionale e a livello provinciale". Lo ha dichiarato Teresa Bellanova, componente della Commissione Lavoro alla Camera dei deputati, in merito alle assunzioni in Sgm
In provincia di Lecce la Sgm assume senza concorso. Teresa Bellanova, componente della Commissione Lavoro alla Camera dei deputati, ha dichiarato: "C'è una contraddizione evidente nel comportamento del centrodestra a livello nazionale e a livello provinciale. A livello nazionale – ha detto - i colleghi fanno i rigorosi: bloccano la stabilizzazione dei precari nella Pubblica amministrazione, mandano a casa i ricercatori e gli insegnanti, inseriscono il criterio della residenza per i concorsi pubblici e cancellano il valore del titolo di studio. Queste scellerate scelte sono sostenute anche dai parlamentari di centrodestra della nostra provincia che poi, qui da noi, cambiano atteggiamento. La Sgm infatti, presieduta da un parlamentare del PdL, ha assunto cinque persone senza alcuna prova selettiva. Com'è possibile? Qual è il criterio di queste scelte? A livello nazionale la Lega vuole impedire ai cittadini meridionali di vincere i concorsi, a livello locale il centrodestra vuole impedire ai comuni cittadini di aspirare a un lavoro meritato legando le assunzioni al criterio dell'affiliazione politica"?
Il seme che non potrà crescere
Il seme che non potrà crescere. Una parabola del Vangelo, con la quale spesso ci ammonivano, diceva: i buoni semi non germinano se finiscono fuori solco, sul terreno non lavorato o poco ben preparato. In queste settimane in tutta Italia sta crescendo la protesta nel mondo della scuola pubblica e la ricerca. Il buon seme - le elementari - in testa, le Università, i Centri di ricerca, le insegnanti, le mamme, gli studenti, i docenti, i ricercatori, scendono in piazza. Con le decine di migliaia di precarie e precari minacciati di licenziamento, molto spesso cinquantenni. Sanno che la ministra Gelmini e il ministro Brunetta (la prima ha ricevuto l'abilitazione da Avvocato a Procuratore in uno dei tanti concorsi farsa non indagati, Brunetta risulta tra i parlamentari europei più assenteisti), sono ministri che si guadagnano da vivere, dimostrando al Governo di saper distruggere la formazione e la conoscenza di questo Paese. Il loro obiettivo è stroncare il sistema pubblico, per affermare il loro sistema privatistico che promuove le caste e si finanzia con i soldi pubblici. Come sta avvenendo ora con le Banche. Brunetta dei ricchi e poveri: da alle banche togliendo alla scuola e alla ricerca. Come può un Paese crescere in questo modo? Brunetta vuole il Paese a sua immagine e somiglianza: un seme che non potrà crescere. Ma l'opinione nostra è diversa e le parole chiare: «Noi non pagheremo la vostra crisi» e «Il futuro è di chi lo ricerca ».
Il seme che non potrà crescere. Il Presidente del Consiglio, facendo una figuraccia mondiale, ha chiesto all'UE uno slittamento delle politiche contenute nell'accordo «Europa 2020»: entro il duemilaventi per salvare il clima, propone di conseguire la riduzione del 20% gli sprechi di energia elettrica, di ridurre del 20% le emissioni di CO2 e di aumentare del 20% l'efficienza energetica e la produzione di energia da fonti rinnovabili. Perchè rinviare? Perchè c'è la crisi e le nostre imprese, dicono lui e Confindustria, non possono investire in innovazione e risparmio energetico (tanto la bolletta, qualunque essa sia, la paghiamo noi). Di fronte allo sfascio del sistema finanziario capitalistico, nessuno si preoccupa dell'economia reale e degli elementi veri della crisi, comune a tutti i sistemi produttivi, dell'attuale modello legato al petrolio e alle altre fonti fossili, con un livello insostenibile di emissioni di CO2 per unità di prodotto, e di altri gas che alterano il clima.
L'altro giorno alla FAO, per la giornata mondiale dedicata all'alimentazione, si è discusso della crisi alimentare dovuta alla limitatezza della risorsa idrica, conseguenza ulteriore dei mutamenti climatici e dei processi di desertificazione, vero flagello dell'umanità. Quindi della necessità di trovare alternative nelle fonti rinnovabili durevoli, come il biodisel da biomasse non alimentari, tra gli altri l'olio di jatropha con un progetto che seguo in Madagascar.
Al contrario in Italia, paese “d'o sole”, con questa politica neppure il seme delle fonti rinnovabili crescerà, eccetto
Il seme che non potrà crescere. Nei giorni scorsi valorosi agricoltori, produttori di grano dell'Appennino e del Tavoliere, hanno simbolicamente bloccato il porto industriale di Manfredonia. Li stava attraccata una nave con la stiva piena di grano proveniente dal Messico. Un centinaio di TIR in uscita doveva distribuire questo grano ai nostri mulini, evidentemente. Obiettivo della protesta, era quello di prelevarne un campione per esaminare la sua qualità. Tutti sappiamo del nuovo impegno delle associazioni di categoria,
La lotta degli studenti
Berlusconi, Corea del Nord o Italia?
Secondo il Financial Times il premier è trattato dai media come il dittatore della Corea del Nord. Veltroni forse l’ha capito o forse il nuovo vigore del Pd è dettato dalla preoccupazione per la crescita di Di Pietro.
Il segretario del Partito democratico, Walter Veltroni, sembra essersi accorto che nel Paese si respira un’aria pesante. Tuttavia non è chiaro se gli ultimi attacchi al governo Berlusconi siano determinati dalla volontà di ridefinire il ruolo dell’opposizione (fino ad oggi ondivago e sbiadito) o dal timore che l’Italia dei valori di Di Pietro sia considerato dagli analisti in forte crescita.
Ieri Veltroni, attaccando il centro-destra, ha detto: “C’è un fastidio per tutto ciò che non rappresenta il consenso, per l’opposizione, per i sindacati, per i giornalisti e per l’Europa. Chiunque non è nella scia del pensiero unico è visto come un marziano”.
Secondo l’uomo della ‘pacatezza’, “l’attuale maggioranza è stata scelta da meno del 50 per cento del Paese. Queste persone elette pro tempore, però, hanno un atteggiamento e una arroganza di chi invece di aver vinto le elezioni ha preso il potere”.
Dopo una campagna elettorale nella quale il tema della sicurezza è stato al centro del dibattito anche del Pd, oggi la più numerosa forza di opposizione si e resa conto del disagio sociale diffuso nel Paese e dei pericoli per le libertà democratiche.
Veltroni ha sostenuto: “Imputo al governo una manovra economica che non si preoccupa dell’economia reale, dei precari, delle piccole e medie imprese, dei lavoratori che hanno 1.300 euro al mese. Si sono occupati di giustizia e televisioni, ma non di questo. Hanno tolto 2,5 milioni all’Ici” producendo u vantaggio per cittadini che “non ne avrebbero avuto bisogno, mentre 1,5 milioni di Alitalia sono stati accollati sulle spalle dei contribuenti”.
Inutile ricordare al leader del Pd l’assoluta latitanza del suo partito durante la durissima vertenza Alitalia, fino al tardivo e singolare tentativo di saltare sul carro ‘vincente’ della ‘cordata patriottica’ (voluta da Berlusconi), nel tentativo di attribuirsi il merito di una ’soluzione’ pasticciata e discutibile per correttezza ed anche certamente contraria agli interessi dei lavoratori della Compagnia.
E viene fuori il rapporto con l’Italia dei valori: “L’alleanza è finita - afferma Veltroni - quando Antonio Di Pietro ha stracciato l’impegno dopo le elezioni per costituire un gruppo comune con noi. Con Di Pietro avevamo sottoscritto un programma per costituire un unico gruppo, quando si è accorto che aveva un numero sufficiente di parlamentari per costituirne uno da solo, Di Pietro ha stracciato quell’impegno”.
Veltroni dimentica l’opposizione dell’ex magistrato alle ‘aperture’ che il Pd faceva fino a pochi giorni fa centro-destra e le cause reali della rottura con Di Pietro.
L’attacco al leader dell’Italia dei valori sembra confermare l’ossessione di Veltroni per la solitudine. L’idea di Veltroni di poter essere autosufficiente ha già prodotto la sconfitta alle ultime elezioni, la scomparsa di una parte importante della sinistra dal Parlamento e l’oggettivo isolamento del suo partito, senza alleati coi quali estendere lo schieramento da opporre al centro-destra, ormai padrone del Parlamento.
La manifestazione del 25 ottobre prossimo, voluta dal leader del Pd per recuperare un consenso popolare decisamente in ribasso, potrebbe rivelarsi un boomerang, perché non è assolutamente certo che il partito di Veltroni abbia la capacità di coinvolgere le decine di migliaia di cittadini necessarie per dimostrare la propria tenuta.
Intanto, come hanno riferito alcuni organi di informazione italiani, l’autorevole Financial Times, quotidiano britannico, ha pubblicato un breve, ma durissimo articolo su Berlusconi e in generale sulla situazione Italiana.
Nell’articolo si legge: “Le banche e i mercati stanno crollando, ma il beneficiano della crisi è Silvio Berlusconi, il premier italiano, trattato da una parte dei media in un modo simile ai livelli di adulazione utilizzati in Corea del Nord, mentre il suo governo esercita un’autorità mai vista da decenni”.
Contestando la nuova svolta ’statalista’ del premier il FT aggiunge: “Il primo ministro ha dichiarato sulle prime pagine dei giornali italiani che ‘gli aiuti di Stato, che fino a ieri erano considerati un peccato, ora sono assolutamente essenziali’ ed ha promesso denaro per l’industria automobilistica e di altre imprese. Ilvo Diamanti, sociologo, ha dichiarato: “Vergognoso negli anni ‘80, indescrivibile negli anni’90, lo Stato è tornato… Come garante, salvatore, esposto come una icona, un’immagine sacra”. Mentre le banche, come all’estero, gli crollavano intorno, l’onorevole Berlusconi ha coltivato un’immagine di calma e di controllo, fino ad andare in un un centro termale umbro”.
Gli inglesi nel loro articolo hanno non solo criticato il presidente del Consiglio, ma rilevato come in Italia i media siano quasi tutti del tutto allineati con le posizioni del governo.
Osservando le scelte dell’esecutivo, il FT ha rilevato: “Diamanti ha detto che questo nuovo Stato darà soccorso alle banche e ai mercati azionari, ma non alle scuole e al welfare“.
A spiegare il clima nordcoreano denunciato dagli inglesi lasciano di stucco i dati diffusi dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Il governo supera quota 33 per cento nelle presenze in video, superando il tetto di un terzo per ciascuno assegnato a governo, maggioranza e opposizione. Lo squilibrio è maggiore nei canali Mediaset e al Tg2.
Il premier Silvio Berlusconi ha parlato direttamente in voce (’tempo di parola’) per il 44,34 per cento sul Tg4 (governo al 20,56), per il 42,08 per cento a Studio Aperto (governo al 29,18) e per il 19,42 per cento al Tg5 (governo al 38,54).
In Rai, il Tg2 si distingue per lo spazio concesso al governo (37,79 per cento), col premier al 9,02. Oltre allo spazio per l’esecutivo il TG2 offre al Pdl un ulteriore 11,36 per cento. L’opposizione col Pd raggiunge 13,24 per cento.
Il Tg1 di Riotta affida il 27,7 per cento del tempo al governo, poi il 5,27 al premier e il 15,83 al Pdl. In tutto oltre il 48 per cento. Il Pd è fermo al 23,93 per cento.
Al Tg3, il governo ottiene il 16,26 per cento, Berlusconi il 7,33 e il Pdl il 15,73. Nella rete controllata dall’opposizione il centro destra occupa quasi il 40 per cento ed il Pd è al 26,41.
Al TgLa7 il governo è al 29,31 per cento, Berlusconi al 9,30 e il Pdl al 3,18. Il Pd si ferma al 25,36.
I tempi dei soli Tg non vogliono dire molto, perché a questi si debbono aggiungere quelli dei programmi di rete, dove un numero enorme di ‘opinionisti’, più o meno vicini al centro destra, ingolfano salotti e tinelli.
Udc, radicali, comunisti di diverse organizzazioni, socialisti, verdi e sinistra democratica non compaiono quasi mai in televisione.
Mentre Veltroni scopre i problemi, nella stanza dei bottoni stanno già cambiando l’arredamento. Con il ventilato sbarramento anche alle elezioni europee in Italia la ’semplificazione’ politica potrebbe raggiungere la perfezione del partito ‘quasi’ unico, facendo scomparire anche l’Udc.