Servizio di protezione civile a rischio anche in provincia di Messina. A denunciarlo è Clara Crocè della Funzione pubblica della Cgil di Messina che lancia l'allarme per la scadenza dei contratti di circa 40 precari tra geometri, architetti e ingegneri e sul conseguente svuotamento dei servizi in provincia. «Un'altra nefasta conseguenza dei tagli operati dal governo- commenta Crocè-. A fine dicembre scadranno i contratti di 40 dei 55 precari di ruolo della Protezione civile regionale. Il servizio in pratica resterà scoperto. Mentre si avviano le celebrazioni per il Centenario del terremoto, si svuota la Protezione civile che lavora per la sicurezza e l'incolumità delle persone».
In provincia di Messina sono circa 60 i lavoratori della Protezione civile regionale tra architetti, geometri, ingegneri e amministrativi che si occupano di prevenzione, progettazione e gestione delle emergenze. Di questi 60 appena 6 sono di ruolo.
«La protezione civile regionale vive di precariato storico. Ognuna di queste persone che da dicembre rischia di restare a casa è da almeno 8 anni che lavora per la Protezione civile», spiega Crocè. La Fp Cgil che nei giorni scorsi ha incontrato l'assessore Ilarda per ottenere rassicurazioni sul futuro del servizio, ha chiesto l'avvio immediato delle procedure di stabilizzazione.
«La stabilizzazione va avviata prima che l'art.37 bis del decreto Brunetta che cancella tutte le norme sulla stabilizzazione dei precari venga approvato in via definitiva dal Senato» spiega Crocè che annuncia lo stato di agitazione del personale che parteciperà allo sciopero generale e alla manifestazione che si terrà a Palermo il 14 novembre contro le norme ammazza precari del ticket Brunetta-Tremonti. In preparazione dello sciopero del 14, il 7 novembre presso il saloncino della Camera del lavoro di via Peculio Frumentario si terrà un'assemblea del personale precario della Regione Sicilia.
LA PETIZIONE DA FIRMARE
lunedì 3 novembre 2008
Brunetta colpisce anche la Protezione civile, a rischio il servizio in provincia di Messina
STATALI: PDCI, SCIOPERO RIUSCITO. CONTRATTO NEGA FUTURO 57MILA PRECARI
E' quanto si legge in una dichiarazione di Gianni Pagliarini, Responsabile Lavoro Pdci. Berlusconi, secondo l'esponente del Pdci, pensa di aver messo questi lavoratori nell'angolo. In realta' ''l'unico a doversi sentire isolato nel Paese e' il ministro Brunetta, assieme al suo governo''.
Ricerca: precari lanciano appello a Napolitano
Il blocco, rilevano i ricercatori, colpirebbe “personale che nella stragrande maggioranza dei casi ha altissima qualificazione e che con il proprio lavoro permette agli enti pubblici di ricerca di mantenere livelli di eccellenza in molti ambiti”. Chiedono quindi di “non disperdere un preziosissimo patrimonio italiano”. L'alternativa, si legge nella lettera, è andare a lavorare all'estero, alimentando la fuga dei cervelli, o “gettare l'esperienza fin qui maturata” e “reinventare una professionalità in altro ambito”. I precari rilevano quindi che “se è vero che la sfida moderna dell'economia è nello sviluppo della ricerca e della conoscenza, un'azione di questo genere determinerebbe uno svantaggio forse incolmabile rispetto agli altri Paesi industrializzati”.
IL paradosso del precario che vinse il vulcano
Secondo il presidente dell’Ingv, Enzo Boschi, è un lavoro fondamentale: «Finalmente» dice «possiamo cominciare a interpretare il tremore vulcanico: abbiamo trovato una chiave logica». Ma Vinciguerra è anche un precario dell’Ingv, sia pure «di lusso». Un ricercatore abituato al lavorare in silenzio, che ora diventa un «caso» tra i tanti precari degli enti di ricerca in scadenza di contratto. «Pensare che fino a qualche tempo fa volevo andare via all’estero» si schermisce. «Presto raggiungerò cinque anni di attività nell’istituto e, sulla base dell’emendamento del collegato alla Legge finanziaria sui precari, sarò licenziato nel luglio 2009».
IDEE PER LA RIFORMA. Secondo Vinciguerra, per riformare la ricerca in Italia bisognerebbe «dare direttive chiare e responsabilizzare i direttori, che devono scegliere il loro gruppo di ricerca ed essere giudicati in base ai risultati». In che modo? «Una volta che il ricercatore ha dimostrato il proprio valore, bisogna garantirgli di potersi affermare a 30-45 anni, i migliori della sua produzione».
Va detto che Vinciguerra ha anche la fortuna di operare all’Ingv, che ha un vertice giovane e che punta sulla competitività: è anche questo che gli ha permesso di eccellere. Del resto, conclude Vinciguerra, «parliamoci chiaro, la ricerca non è per tutti!». Ma queste non erano le idee di Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica? Vinciguerra annuisce. Ma teme che, al di là della buona volontà del ministro, la manovra del governo «punti solo a licenziare i precari, l’unica parte sicuramente produttiva della ricerca, perché giudicabile dai fatti».
Storie come quella di Vinciguerra si stanno ripetendo e sembrano cominciare a sortire qualche effetto. Dopo un incontro con Brunetta, Boschi si dice ottimista: «Ci stiamo adoperando con il ministro per tenere i nostri precari negli enti, nel rispetto legge vigenti».
La soluzione sembra a portata di mano: un monitoraggio caso per caso, con gli enti di ricerca per determinare chi avrà diritto alla stabilizzazione.
IO SONO UN PORTATORE SANO DI SICURO PRECARIATO
Alla ricerca della felicità e alla conquista di lavoro, come minatori del ventunesimo secolo, i giovani dottori e dottorandi dell’università nostrana, molto strana, emigrano in massa verso l’estero. Come 'male che colpisce da decenni la ricerca nel nostro Paese'(Newton, 2002), o 'sintomo della crisi della ricerca e dell’università' (ADI 2001), il 'brain drain', ovvero la fuga dei cervelli in terre lontane, non arresta la sua portata. Questa volta, senza “voler fare gli americani e senza whisky e rock ‘n’ roll”, il fenomeno si presenta come un’ennesima migrazione necessitata dal nuovo look dell’istruzione italiana. Il moderno taglio della legge 133/08 promette 1.500 milioni di euro in meno (dal 2010) per i finanziamenti alle università, inaugurando anche la possibilità di trasformazione degli atenei in fondazioni private, col decurtamento sullo stipendio del personale e col pensionamento di quasi 2000 ricercatori precari. Ipotesi incoraggianti per la ricerca italiana, già all’ultimo posto in Europa per numeri di ricercatori, con una spesa pari all’1,1% del Pil, (la media OCSE è del 2,3%), inferiore a Francia (2,5%) e Finlandia (3%) ma superiore a Ungheria, Portogallo, Polonia e Repubblica Ceca (Annuario Observa). La percentuale, invece, di coloro i quali si ritengono impegnati nella ricerca e nello sviluppo in Italia, non supera il due per mille, contro una media europea del quattro per mille.
In accordo con il Rapporto della Fondazione Migrantes (Italiani nel mondo 2008), l’Italia perde continuamente le teste “intelligenti”, “partite e non ancora tornate”. A 5 anni dalla laurea 52 laureati su 100, non ritornano a camminare sullo stivale.
Nel 2002 i motivi per lasciare l’Italia erano: scarse risorse disponibili per la ricerca, condizioni economiche migliori e prospettive di carriera all'estero. Per non tornare: burocratizzazione della ricerca e carenza di tecnologia (Censis, 2002).
Dopo 6 anni di regresso “non ci resta che piangere”: stipendi ridotti all’osso e ore di lavoro interminabili non annunciano futuro migliore. Tra provvedimenti di rientro e controlli delle uscite (acchiappa cervelli mind in Italy), le fughe dal precariato sicuro non diminuiscono, con ben 294.767 laureati scappati nel solo 2005. Andare, camminare, lavorare, è dunque la sola via di sopravvivenza per dottorandi e dottori dell’Italia malata. 'Italia bella mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare/sennò ne vanno tutti in Brasile/e un si ricordan più di ritornare. Ancor qua ci sarebbe da lavorar/senza andar in America a emigrar. Il secolo presente qui ci lascia/il millenovecento s'avvicina; la fame ci han dipinto sulla faccia/e per guarilla'un c'è la medicina' (Italia bella mostrati gentile).