LA PETIZIONE DA FIRMARE

venerdì 17 aprile 2009

Precari da “buttare a mare”?

Da Ideambiente web - di Lorena Cecchini
Hanno indossato dei camici bianchi da laboratorio e proiettato un video per protestare contro chi li vuole ’buttare a mare’. I precari dell’ISPRA, così nella mattinata del 17 aprile nella sala Fazzini dell’Istituto, in via Curtatone, hanno manifestato durante il convegno sul lancio del sito web dei laboratori dell’Ispra per denunciare la situazione del personale precario dei laboratori che si verrebbe a creare dopo le scadenze contrattuali del 30 giugno e del 31 dicembre 2009. Nella nota diffusa si legge che i lavoratori con queste tipologie contrattuali costituiscono dal 50% al 100% del personale operativo, ribadendo il ruolo fondamentale che il personale ISPRA ex ICRAM ha nello studio e nella ricerca sull’ambiente marino. "Se la struttura commissariale non varerà un piano per il mantenimento di questo personale e la stabilizzazione - avvertono i lavoratori - nei prossimi 3 anni resteranno solo altri 500 disoccupati in più, proprio ora che c’e’ la crisi". Poca la fiducia che il personale precario mostra nelle politiche della struttura commissariale dell’Ispra che, secondo i lavoratori non lascerebbe molti dubbi su quello che sarà il destino dei precari dopo le date fatidiche della scadenza dei contratti.
“Annichilimento della Ricerca Pubblica ambientale e ulteriore fuga di cervelli dall’Italia”. Questa la pessimistica visione dei lavoratori con la quale si chiude la nota di protesta.

La ricerca ambientale va a fondo Si lavora per mille euro al mese

dal Corriere della sera - L'Italia, il “giardino d’Europa” che a turno i vari governi di sinistra e di destra invitano a visitare, versa in stato di abbandono, lasciato in buona parte al suo destino. Le persone chiamate alla sua “manutenzione” non guadagnano più 1000-1200 euro al mese, spesso lorde. Il Bel Paese spende pochissimo per la ricerca ambientale e naturalistica e chi la svolge lo fa più per passione che per altro. Negli ultimi 50 anni l’investimento generale dell’Italia per “ricerca e sviluppo” non ha mai superato l’1% del Pil, cioè tra la metà e un quarto di quanto non abbiamo sempre fatto gli altri paesi europei sviluppati. In questa fetta, già striminzita, alla ricerca naturalistica sono sempre rimaste briciole, visto che è la cenerentola dei vari rami della “conoscenza”. Con i tagli alla spesa del 2008, la situazione è ulteriormente peggiorata. Ma se i vari governi hanno sempre avuto il “braccino corto” per il lavoro sul territorio di biologi, geologi e zoologi, ora ci vuole una manica larga per pagare i danni non solo d’immagine che questa politica ha prodotto. A cominciare dalle multe e dalle sanzioni che ci piovono addosso dalla Commissione Ue per non aver rispettato direttive che, come paese membro, abbiamo sottoscritto e non abbiamo onorato. Non preoccuparsi della propria natura non ha costi solo economici o di immagine. Disboscamenti, edilizia selvaggia, smaltimento senza regole dei rifiuti, anche tossici, oltre alle multe della Ue, comportano frane, case distrutte, malattie, vittime. L’Abruzzo è solo l’ultima enorme ferita, e la notizia che 180
Scheletri di cemento armato a Capo Rossello (Agrigento)
Scheletri di cemento armato a Capo Rossello (Agrigento)
ricercatori precari dell'Istituto di geofisica rischiano il posto di lavoro è come buttarci sopra del sale. Altre ferite si possono aprire, è inutile fingere di non saperlo, come sottolinea l’ultimo dossier dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che, come ha scritto Gianantonio Stella sul Corriere della Sera del 9 aprile, “dovrebbe togliere il sonno”. “I comuni italiani interessati da frane – è scritto nel rapporto - sono ad oggi 5.596, pari al 69% del totale», e quelli che corrono pericoli di livello «molto elevato» sono 2.839. Queste frane «sono le calamità naturali che si ripetono con maggiore frequenza e causano, dopo i terremoti, il maggior numero di vittime e di danni a centri abitati, infrastrutture, beni ambientali, storici e culturali». Eppure, tra i 132 Prin (Progetti di rilevante interesse nazionale) finanziati nel 2007 in tutta Italia per il settore “Scienze biologiche”, solo quattro riguardavano fauna, flora e ambiente.

Uno scorcio del Parco nazionale del Gran Paradiso (Ansa)
Uno scorcio del Parco nazionale del Gran Paradiso (Ansa)
I COSTI EUROPEI –
Nei lontani tempi della Cee, per la precisione nel 1992, i paesi membri firmavano la direttiva “Habitat”, nella quale si fissavano i principi per la tutela di territorio, animali e vegetazione. Tra questi l’istituzione dei Sic (Siti di interesse comunitario), come dire che questi luoghi di particolare valore naturalistico sono un bene comune di tutta l’Europa; sui quali vanno fatte ricerche, preparate relazioni, eseguiti interventi. Chi non lo fa, oltre al danno che produce al proprio territorio e alla gente che ci vive, ha anche la beffa di pagare multe o di dover investire una valanga di soldi per rimediare alle inadempienze messe all’indice dalla Ue. A oggi sono 176 le procedure di infrazione aperte dalla Commissione Ue nei confronti dell’Italia e, tra queste, 50 sono tutte su violazioni ambientali. Siamo finiti sotto i riflettori europei diverse volte, a cominciare dalla condanna emessa dalla Corte di Giustizia per la violazione della direttiva sullo smaltimento dei rifiuti. Le discariche abusive elencate nella relazione della Corte arrivano al totale di 4866. Solo in tema di rifiuti, e solo per quanto riguarda la Campania, per dare un’ordine di grandezza delle cifre, la procedura comporta “un impatto finanziario negativo sul bilancio dello Stato di 150 milioni di euro nel solo 2008, dovuto all’istituzione di un fondo per l’emergenza”. “E’ un fiume di denaro che non si può quantificare quello che l’Italia paga in modo diretto o indiretto per le violazioni del diritto comunitario in tema ambientale - spiega l’europarlamentare del gruppo dei Verdi Monica Frassoni. Lo spirito europeista di un paese lo si misura anche dal modo in cui applica le leggi che lui stesso adotta».
E in Italia in questi anni sono piovute a decine le “messe in mora” emesse dalla Commissioni Ue, o le condanne della Corte di giustizia. Si va dalla violazione delle norme in materia di valutazione
Scheletro di un viadotto abbandonato a Porto Empedocle
Scheletro di un viadotto abbandonato a Porto Empedocle
ambientali del piano regolatore di un singolo comune, alla costruzione di “una terza linea” di un inceneritore, agli interventi edilizi in una baia della Sardegna, alle concessioni autostradali. E ancora, deferimenti alla Corte di giustizia, “per cattiva applicazione e disapplicazione della direttiva 79/409CEE art. 9 sulla caccia in deroga in Veneto (LR n.17 del 2004), in relazione alla caccia in deroga a specie protette in Sardegna. Ma ci sono anche almeno altre 10 regioni italiane che sono finite nel mirino della Corte di giustizia per la non osservanza della direttiva sulla tutela degli uccelli selvatici. Non si contano i deferimenti in relazione a costruzioni nei pressi, o addirittura all’interno, dei Siti di interesse naturalistico. Nel mirino europeo l’Italia ci è anche finita per l’inquinamento dell’aria, e per tutta la questione del rimborso spese di salute”.

VITA DA RICERCATORE – Ma se si spendono tanti soldi per rimediare ai danni fatti, in Italia chi ha i titoli per prevenirli ne prende pochissimi. I ricercatori continuano a lavorare facendo quasi sempre salti mortali che ricordano più il volontariato che non una professione indispensabile in un paese che crede nelle sue bellezze naturali e investe per conservarle. Anni di studio alle spalle, spesso all’estero, e poi mille euro al mese in Italia, a volte anche lordi, per seguire progetti di ricerca naturalistica e ambientale che, se da un lato ci mettono al riparo dalle sanzioni europee, dall’altro servono a proteggere il nostro territorio. La gran parte del lavoro si svolge “sul campo”. «Non esistono weekend, o giornate di otto ore – spiega la biologa Elisabetta De Carli. Io lavoro nel ramo della ricerca degli uccelli nidificanti e si comincia a lavorare prima dell’alba. Se la stagione lo permette a volte si dorme in macchina, oppure si cerca ospitalità da conoscenti. A volte, se i fondi lo permettono, si sta anche in pensione. Ma è raro». «Io uso spesso un furgone attrezzato a camper – spiega l’erpetologo Vincenzo Ferri, che studia anfibi e rettili -. Una volta sono stato svegliato di notte dai carabinieri con pistola alla mano. Da allora prima di parcheggiarmi nella zona dove devo lavorare passo sempre dalla caserma più vicina ad avvisare». Sempre con poco più di mille euro al mese c’è anche chi come Elena Patriarca, lavora solo di notte, visto che studia i pipistrelli. O chi sta in barca per settimane, come il biologo marino Francesco Maria Passarelli che sottolinea come un altro problema che i ricercatori devono fronteggiare «è quello di dover anticipare tutte le spese per il lavoro che viene richiesto dalle strutture pubbliche».
Stefano Rodi - Corriere della sera

Al ridicolo non c’è mai fine. Brunetta come il mago Otelma!


Il Ministro Brunetta ama farsi pubblicità e utilizza i media per ogni suo spot. Peccato che le sue esternazioni non siano sostenute da dati oggettivi ma solo dalla volontà di tagliare servizi e posti nella Pubblica amministrazione. Ignoto è il vero numero dei precari nella Pubblica Amministrazione e in questo anno il Governo non ha fatto nulla se non bloccare al 1 luglio 2009 ogni forma di stabilizzazione. Nelle settimane scorse, il Ministro Brunetta ha inviato un questionario alle Amministrazioni per censire il numero dei precari, cosa che avrebbe dovuto fare molto tempo fa invece di denigrare i lavoratori pubblici e tagliando i fondi per il contratto nazionale e per la contrattazione decentrata Ebbene, su 10886 amministrazioni consultate per il monitoraggio dei precari, solo 3.800 avevano risposto al 2 Aprile, ma la documentazione inviata fa scoprire un’altra verità ossia che il monitoraggio è finalizzato solo al personale con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato in possesso dei requisiti per la stabilizzazione previsti dall'Articolo 1, commi 519 e 558, della Legge 296/2006 e dall'articolo 3,comma 90, della Legge 244/2007. Fatti alcuni calcoli sono esclusi i lavoratori socialmente utili, i co.co.co e co.co.pro, il personale a contratto, ossia svariate decine di migliaia di lavoratori/trici che operano magari da anni nella Pubblica Amministrazione. Il Governo poi con la circolare 39 del 6-3-09 potenzia gli strumenti di tutela del reddito in caso di sospensione dal lavoro o di disoccupazione (a 90 giorni viene portato il trattamento massimo della disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti e requisiti normali, includendo gli apprendisti nella indennità ordinaria di disoccupazione), una sorta di card per i precari che non porta alcun beneficio al riconoscimento dei precari come forza lavoro né opera per la loro stabilizzazione nel Pubblico Impiego. Mentre Il Governo chiude la porta alla stabilizzazione dei precari condannando i servizi pubblici alla privatizzazione, ecco arrivare l’ultima trovata (che penalizza in questo caso direttamente i lavoratori pubblici in procinto di andare in pensione). Nel maxiemendamento al D.L 5/2009 (misure di sostegno dei settori industriali in crisi), hanno presentato una proposta di emendamento che prevede per il 2009-2010-2011, per tutti i dipendenti di strutture pubbliche, (ma con alcune illustri esclusioni che riguardano magistrati, docenti universitari, e dirigenti medici), non solo il pensionamento al raggiungimento dei 40 anni di anzianità massima contributiva, ma anche il congelamento delle liquidazioni fino al 2013. Quindi alla beffa di perdere posti di lavoro senza la stabilizzazione dei precari, segue il danno economico. Il Governo vuole affossare la pubblica amministrazione e il lavoro pubblico E noi che si fa? Non dobbiamo permetterlo!