LA PETIZIONE DA FIRMARE

lunedì 23 febbraio 2009

Noi siamo quelli che perdono il posto

dall' UNITA del 23/02

SERENA CARLONI
Co.co.coministero dell’Istruzione
30 anni

Con una laurea in Sociologia mi sono dovuta riciclare come contabile. Da quattro anni lavoro al ministero dell’Università, curo le fatturazioni di un settore molto importante, di quale preferisconondire pernonrischiare ritorsioni. Il posto l’ho trovato superando una selezione e il colloquio con il dirigente con cui lavoro. Nell’ufficio siamo in quattro: due tempi indeterminati e due co.co.co. In pratica facciamo lo stesso lavoro. La differenza è che i due ministeriali, finito il loro orario, se ne vanno, ma se mi dicono: “Potresti rimanere ancora un po’?”, ame tocca restare. Oltre le 38 ore previste dal contratto. E il mio lavoro è così pensate che nessunministeriale vuole farlo». Il tutto per 900 euro mensili, fino a quest’anno quandola magnanimità del dirigente ha portato a 300 euro di aumento. «Sì,ma per la prima volta il contratto non è annuale. Scade a settembre e il rischio che non sia più rinnovato è altissimo. I sindacati ci dicono che potremmo rientrare in una deroga del provvedimento, però l’interpretazione non è certa, anche perché la norma non è stata ancora approvata definitivamente». Eh già, perché dimezzo ci si èmesso il ministro Brunetta e il suo stop alle stabilizzazioni nella Pubblica amministrazione. «Quando uscì la legge nel 2007 ero veramente felice. Ci credevo, ci sarebbe stato un concorso interno e i meritevoli sarebbero stati finalmente assunti. E invece adesso rischiamo pure il posto da co.co.co». Le conseguenze per Serena ci sono già. «Vorrei sposarmi, comprare casa, avere un figlio. Ma anche il mio ragazzo è precario e allora non posso far altro che vivere a casa con i miei genitori e mettere i sogni nel cassetto». Ormai anche il fare figli è un sogno. «Tutte le mie amiche sono in questa condizione, un’intera generazione precaria». E allora l’unico modo per continuare è rimettersi a studiare. «Ci sono due concorsi del ministero per posti fissi: ho riaperto i libri e, nei ritagli di tempo, studio. Ma è dura».


Italia, il peggio deve arrivare 2,4 milioni di precari in bilico


dall' UNITA del 23/02

Avviso - Le parole di Draghi confermano un allarmante scenario di emergenza sociale
Le aree - La recessione elimina per primi i contratti a tempo determinato, l’industria licenzia

In Italia ci sono circa 3 milioni di contratti a tempo che arriveranno a scadenza nel 2009, circa quattro quinti non sarnno rinnovati. Quindi svanisconio duemilioni 400mila posto di lavoro.

Il peggio deve ancora arrivare, ha detto il governatore Draghi. Abbiamo fatto il possibile, ha risposto Tremonti. Il primo reclama iniziative, il secondo allarga le braccia, ma entrambi sanno che una bufera sta per abbattersi sul mondo del lavoro. Difficile quantificarne la portata, come difficile è stabilire i danni provocati finora.Dache parte cominciare? Ci sono i lavoratori in cassa integrazione da mesi (oltre 500mila a fine 2008), ci sono i precari sacrificati ai primi segnali di difficoltà (almeno 400mila secondo stime prudenziali hanno già perso il lavoro), ci sono imprese individuali e partite Iva che lottano per non chiudere, e ci sono giovani tanto sfortunati da affacciarsi proprio ora sul mercato del lavoro.

EMERGENZA
Per tentareun bilancio dell’emergenza occupazionale, si potrebbe cominciare proprio da loro: ignorati dalla statistica e dalla politica, esclusi da qualsiasi intervento di sostegno, non si vedono riconosciuto nemmeno il diritto al lamento. Eppure la recessione sta presentando a loro il conto più salato: solo nella provincia di Torino, e solo in ottobre, sono venute a mancare 20mila assunzioni rispetto a settembre. L’enormità di un dato parziale lascia intuire le dimensioni diunproblema che penalizza un’intera generazione di nuovi lavoratori: «La riduzione del flusso di assunzioni nel settore privato non potrà essere compensata in alcun modo. Purtroppo la crisi è trasversale. Se nessun settore si salva, non c’è modo di frenare questa perdita» spiega Claudio Treves, responsabile del Dipartimentomercato del lavoro della Cgil. Al salasso occupazionale andranno aggiunti pure questi giovani lasciati in attesa di tempi dimigliori. E le stime azzardate dall’Unione europea non possono che definirsi ottimistiche: nel 2009 il tasso di disoccupazione dovrebbe passare dal 6,7% all’ 8,2% per un totale di due milioni e 200mila unità, 500mila in più rispetto al già catastrofico 2008. Ad oggi la situazione deve essere analizzata per via empirica dalle parti sociali e dagli organi d’informazione: i dati aggiornati in tempo reale esistono, ma il governo ha pensato bene di renderli indisponibili, secretando le comunicazioni obbligatorie che le imprese devono mandare al ministero del Lavoro di ogni cambiamento nei livelli occupazionali. Una base condivisa di numeri reali, infatti, manderebbe all’aria la strategia comunicativa di Berlusconi e Sacconi: minimizzare, rassicurare gli elettori, additare il pessimismo della stampa.

LA «CASSA»
L’evidenza dei fatti, però,nonpuò essere nascosta. È il caso dell’aumento della cassa integrazione registrato dalla Cgil nel 2008, conun incremento del130% solo in dicembre. La platea di lavoratori coinvolti nei settori industriali e del commercio è di oltre 430mila, a cui vanno aggiunti quelli del settore edile e quelli che usufruiscono della cassa in deroga, altri 100mila. Il che significa più dimezzo milione di persone che rischiano il posto. Più dimezzo milione di famiglie che
vivono con salari ridotti e che, con il perdurare della crisi, trascinano il paese verso un generale impoverimento. Il capitolo dei precari non si rivela meno doloroso. Alla fine del 2008 avevano perso il lavoro oltre 400mila persone con contratti di lavoro atipici. Una stima prudenziale che considera una riduzione del 25% nei contratti commerciali tra le imprese e le agenzie di lavoro interinale, nei contratti di apprendistato e nei rinnovi del contratti a termine, oltre a un calo del15%delle varie forme di collaborazione. Eper il 2009? Resteranno a casa i precari del settore pubblico, colpiti tra luglio e settembre dai provvedimenti dei ministri Brunetta e Gelmini: 100mila dipendenti delle pubbliche amministrazioni e 30mila insegnanti e addetti della scuola.Ma il rischio, secondo Bankitalia, incombe su quattro quinti dei lavoratori precari: due milioni e 400mila persone. «In questarecessione senza precedenti, il governo nonha saputo prendere alcuna iniziativa adeguata»

Il reddito delle famiglie fa un balzo all'indietro di 10 anni


«Non torniamo al Medioevo, al massimo torniamo al 2005 -2006», ha detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti a proposito della marcia indietro del Pil prevista per quest'anno. Il che è tecnicamente vero, anche se forse, con la continua revisione al ribasso delle stime (c'è chi vede il -3%, ma si tratta di congetture), stiamo più verso il 2004-2005 che il 2005-2006. Tuttavia, quello che conta per la "sensazione" di ricchezza o di povertà delle famiglie italiane è il Pil pro-capite, e qui il confronto si fa più pesante. Il livello del 2009 torna a quello di dieci anni fa. L'italiano medio, insomma, fa un indesiderato "bagno di gioventù": si ritrova con i livelli di reddito del 1999, i quali, anche se superiori (grazie al cielo!) a quelli del Medioevo, non sono quelli che si aspettava quando, due lustri or sono, guardava al futuro.

Aspettative deluse
In effetti, quel che ha caratterizzato l'economia del dopoguerra - un "pianeta diverso" rispetto al passato - è quella che è stata chiamata la "rivoluzione delle aspettative crescenti". Ci siamo talmente abituati a questa rivoluzione che non la consideriamo nemmeno più tale. Ma non era così nel passato. Traguardando l'andamento dell'economia e del benessere dei popoli nella tela dei secoli, vediamo una linea essenzialmente piatta per millenni, che comincia a innalzarsi con la rivoluzione industriale del tardo Settecento, va avanti a scatti, strappi e ritirate fino alla Seconda guerra mondiale, e finalmente s'invola, dritta e sicura, a partire dalla seconda metà del Novecento, un periodo felicemente unico nella storia dell'umanità. Ed è in quest'ultimo periodo che è iniziata quella rivoluzione, per cui consideriamo normale e quasi dovuto il fatto che ogni anno dobbiamo star meglio dell'anno prima, e se non stiamo meglio stiamo male, protestiamo, cambiamo Governo ed esigiamo che la crescita riprenda. Si comprende quindi come sia triste il fatto che un giorno ci svegliamo e ci accorgiamo che siamo tornati agli standard di vita di dieci anni fa. La "rivoluzione della aspettative crescenti" è stata soffocata dalle bieche vicende della crisi. E quello che succede in Italia succede anche negli altri Paesi: in America le vendite di auto crollano a livelli che non si vedevano da un quarto di secolo; l'inflazione è al livello più basso da mezzo secolo (e purtroppo la bassa inflazione è dovuta a un'economia debole); e i nuovi sussidi di disoccupazione come i nuovi cantieri per costruzione di case sono ai livelli più bassi «da quando sono iniziate le rilevazioni». Come si traduce tutto questo nella vita di tutti i giorni? Qui si apre un altro problema, perché gli effetti di questi "passi del gambero" in un sistema economico non sono omogenei. Si apre un grosso divario fra quelli che quasi non si accorgono della crisi (coloro che hanno un posto di lavoro o un altro reddito fisso come la pensione, e gli aumenti mantengono almeno il passo con l'inflazione) e coloro che sono in prima fila nel ricevere lo "schiaffo" della crisi: precari il cui posto di lavoro non è rinnovato, giovani che non riescono a trovare un impiego, fabbriche chiuse, fallimenti e altre disgrazie.

Impatto differenziato
A differenza della pioggia che "cade sui giusti e sugli ingiusti", la crisi è molto diseguale nei suoi effetti. Ed è importante che la politica economica di contrasto alla crisi, pur limitata come è in Italia, tenga conto di questa diversità negli effetti e si concentri nel sostegno a coloro che ne sono maggiormente colpiti. Tuttavia, come la pioggia, la crisi un giorno o l'altro finirà. E, come suggeriscono i dati dell'andamento del Pil pro-capite, in volume, dall'Unità d'Italia al 2009, la crescita riprenderà: è troppo forte lo stacco fra il dopoguerra e i novant'anni che lo hanno preceduto per non capire che sono state messe all'opera possenti forze strutturali. Queste forze - apertura dei mercati, rafforzamento delle istituzioni, accettazione crescente dell'economia di mercato, innovazione tecnologica e manageriale, livelli crescenti di istruzione... - covano sotto le ceneri della crisi e riprenderanno forza una volta riparato il sistema finanziario e tornata la fiducia. Auguri.

Brunetta ama gli stipendi altissimi


Il ministro Renato Brunetta, il fustigatore di fannulloni e sprechi, ha sentito il bisogno di parlare del Festival di Sanremo e ha detto: ”Viva Sanremo, viva Marco Carta e viva anche il milione di euro che si è preso Bonolis se ha fatto quello share. Se l’è guadagnato tutto”. Dopo le polemiche dei giorni scorsi sul maxi-compenso del conduttore del Festival, il moralizzatore della Pubblicas amministrazione ha voluto rendere omaggio al successo di Sanremo, in nome di quello che ha definito ’sano liberismo economico’. Brunetta ha spiegato: ”Il problema non è quanto prende uno, ma quanto profitto porta alla sua impresa. Tutto qua. Questo è un sano liberismo, secondo cui uno deve essere pagato a seconda del contributo che porta. Da sempre sono un sostenitore del sano liberismo e penso che più alti sono i salari che si prendono, più alta è la produttività che ne deriva. E’ più alte sono le tasse che si pagano, a vantaggio della competitività del Paese. Nei decenni passati tutto questo non è stato fatto anche per responsabilità di un certo sindacato che ha voluto salari bassi per dividersi il potere. Un sindacato che non era dalla parte dei lavoratori ma dalla parte del potere. Quando sento parlare di moderazione salariale non ci sto. Se voglio che uno diventi più produttivo devo aumentargli lo stipendio, punto. I salari bassi non hanno mai fatto bene a nessuno, nè ai lavoratori, nè all’economia. La moderazione e i tetti salariali sono solo serviti a dividersi il potere”. Migliaia di lavoratori italiani plaudono alle parole del ministro. Ci sono anche alcuni dubbiosi: i piloti Alitalia, professionisti ad altissima specializzazioni, ai quali tuttavi è stato decurtato lo stipendio, le migliaia di cassintegrati dell’industria, che si domandano come mai siano senza lavoro, I precari, ai quali i contratti non sono stati rinnovati.