LA PETIZIONE DA FIRMARE

lunedì 18 maggio 2009

ECCO DUE BUONI MOTIVI PER NON ANDARE A VOTARE. MA, ALLA FINE CI ANDREMO. TURANDOCI IL NASO


Ci voleva uno studio inglese per stabilire quali sono gli europarlamentari che guadagnano di più e quelli che sono meno presenti. I più fannulloni per usare un termine tanto caro all'operoso Brunetta. Vi lascio immaginare qual'è la pattuglia a Strasburgo che guida le due classifiche. E se ancora avete qualche dubbio vi dico che primeggiano in tutte le due le speciali graduatorie gli eletti in Italia. 78 , cinque anni fa, 72, il prossimo giugno. Sono i più pagati d'Europa e guadagnano 134.291 euro all'anno. In compenso sono i meno presenti a Strasburgo e a Bruxelles. La loro partecipazione alle assemblee è pari 72% delle sedute e assicura ai nostri rappresentanti un umiliante ultimo posto in classifica. Tra i primi 100 presenzialisti sono soltanto 3 i deputati italiani. Di contro, fra gli ultimi 20 la metà esatta sono italiani. Da vergognarsi. E ancora. 37 figurano oltre l'800esima posizione e 9 oltre la 900esima. I peggiori in assoluto sono la Mussolini, Cirino Pomicino, De Michelis, Umberto Bossi, Adriana Poli Bortone e Gian Paolo Gobbo. Ce ne sarebbe abbastanza per disertare le urne ma, come al solito, non lo faremo. Esprimeremo il nostro diritto-dovere di voto . Il nostro pensiero, però, andrà ad un certo Indro Montanelli che, qualche elezione fa, invitò gli italiani a votare un partito ( la Democrazia Cristiana ) usando però una precauzione: turandosi il naso. Insegnamento più che valido anche oggi.

Le tasse divorano i salari, Italia maglia nera

La busta paga degli italiani è tra le più leggere tra quelle dei grandi Paesi industrializzati: colpa soprattutto del cuneo fiscale, la differenza cioè tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore. A dirlo è l’ultimo rapporto dell’Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008. Sui trenta Paesi che fanno riferimento all’organizzazione di Parigi, l’Italia si colloca al 23° posto: davanti, in termini di salari, ci sono non solo Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Germania e Francia ma praticamente tutti i Paesi europei. Gli italiani nel 2008 hanno guadagnato il 17% in meno della media Ocse; la busta paga media non arriva a 16mila euro l’anno, poco più di 1.300 euro al mese. A influire negativamente è soprattutto il cuneo fiscale: il peso di tasse e contributi per un lavoratore dal salario medio (single e senza carichi di famiglia) è del 46,5%. In questa classifica l’Italia risulta infatti al sesto posto tra i trenta paesi Ocse, partendo da quelli dove è maggiore il peso fiscale sulle buste paga. La situazione migliora se si considera il caso di un lavoratore, sempre con un salario medio ma sposato e con due figli a carico. In questo caso il cuneo è al 36% e l’Italia si colloca all’undicesimo posto nell’Ocse. «I dati Ocse sono da tenere in considerazione, ma non va dimenticato il grosso sforzo che il governo italiano ha fatto finora sul fronte dell’economia aiutando, con una serie di provvedimenti mirati, le fasce più deboli della società, le piccole e medie imprese, i giovani». Lo afferma in una nota il ministro dell’Attuazione del programma di governo, Gianfranco Rotondi. Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sottolinea: «I bassi salari italiani sono stati causati dalla vecchia contrattazione collettiva centralizzata, che ora le parti sociali, d’accordo con il governo, hanno dovuto cambiare». Quanto alla pressione fiscale, ci sono novità come «la tassazione agevolata al 10%» per tutta la parte di salario legata alla produttività «che viene decisa in sede aziendale». E a Paolo Ferrero del Prc che parla di «dati scioccanti» e a Cesare Damiano del Pd, secondo cui «sarebbe necessario un intervento del governo, con risorse fresche e aggiuntive per potenziare il potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni», Daniele Capezzone del Pdl risponde: «La sinistra che commenta i dati Ocse sui salari è stranamente smemorata. Furono Prodi e Visco ad aumentare le tasse a tutti, alzando le aliquote fiscali anche alle fasce più deboli in una fase espansiva dell’economia mondiale, che fu così sciupata dall’Italia. Invece, il governo Berlusconi sta facendo i conti con una fase delicata a livello internazionale, e, ciononostante, non ha messo le mani nelle tasche degli italiani, ha esteso la copertura degli ammortizzatori sociali anche ai precari, ha previsto misure sociali e ora ha impostato misure per la ripresa, dal piano delle grandi opere al piano casa. La differenza è evidentissima», conclude Capezzone.

In Italia salari netti tra i più bassi sviluppati

Gli italiani incassano ogni anno uno stipendio che è tra i più bassi tra i Paesi Ocse. Con un salario netto di 21.374 dollari, l’Italia si colloca al 23/o posto della classifica dei 30 Paesi dell’organizzazione di Parigi. Buste paga più pesanti non solo in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia, ma anche Grecia e Spagna. È quanto risulta dal rapporto Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato. La classifica riguarda il salario netto annuale di un lavoratore senza carichi di famiglia. È calcolato in dollari a parità di potere d’acquisto. Gli italiani guadagnano mediamente il 17% in meno della media Ocse. Salari italiani penalizzati anche se il raffronto viene fatto con la Ue a 15 (27.793 di media) e con la Ue a 19 (24.552).

Consumatori. «Non solo l’Italia è tra gli ultimi paesi per i bassi salari percepiti dai lavoratori, ma risulta in pessima posizione anche per quanto riguarda il potere d’acquisto dei cittadini». Lo afferma il presidente Codacons Carlo Rienzi, commentando l’indagine. «Considerando infatti salari e livello di prezzi e tariffe, prezzi e tariffe che in Italia sono cresciuti dall’introduzione dell’euro ad oggi assai più rispetto ad altri paesi europei, il nostro paese ne esce davvero male. La riprova arriva dai dati sui consumi, da tempo al palo. Per consentire all’Italia di ritornare competitiva rispetto al resto d’Europa - conclude Rienzi - serve una reale detassazione degli stipendi e una riduzione generalizzata dei listini al dettaglio, consentendo ci cittadini italiani di acquistare tanto quanto i cugini europei».

Damiano (Pd). «I dati Ocse testimoniano una verità conosciuta: che le retribuzioni nette dei lavoratori italiani sono ben al disotto della media dei 30 Paesi più industrializzati. Il divario negativo è di 17 punti percentuali. Questo dimostra quanto sarebbe necessario un intervento del governo, con risorse fresche e aggiuntive per potenziare il potere d’acquisto delle retribuzione e delle pensioni, come una delle componenti essenziali per l’uscita dalla crisi. Lo dice il responsabile Lavoro del Pd, Cesare Damiano, che aggiunge: «Uno dei dati rilevato dall’indagine dell’Ocse è il divario tra retribuzione lorda e retribuzione netta in busta paga: il famoso cuneo fiscale, che il governo Prodi, con lungimiranza, aveva provveduto a diminuire in modo significativo. Occorrerebbe però proseguire su questa strada scegliendo di investire risorse per uscire dalla crisi, anzichè aspettare che passi la nottata».

Capezzone (Pdl). «Furono Prodi e Visco, con la loro sbagliatissima prima finanziaria, ad aumentare le tasse a tutti, alzando le aliquote fiscali anche alle fasce più deboli». Lo afferma Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. «La cosa - sottolinea Capezzone - è particolarmente grave perché avvenne in una fese espansiva dell’economia mondiale, che fu così sciupata dall’Italia». Secondo Capezzone, «il governo Berlusconi invece sta facendo i conti con una fase delicata a livello internazionale, e, ciononostante, non ha messo le mani nelle tasche degli italiani, ha esteso la copertura degli ammortizzatori sociali anche ai precari, ha previsto misure sociali (dalla social card al bonus fiscale), e ora ha impostato misure per la ripresa (dal piano delle grandi opere al piano casa)».

Non prendiamoci in giro. La crisi c'è. Il governo no.


Per Berlusconi la crisi economica è superata, solo che l’opposizione e i giornali, tutti catastrofisti, si ostinano a vedere un mondo immaginario. Quella crisi che prima ha chiamato catastrofe epocale, colpa degli USA, ora è passata. Stiamo parlando dello stesso premier che novembre ha promesso 80 miliardi contro la crisi e poi ha destinato zero risorse all’emergenza…., come ha certificato il fondo monetario internazionale, quindi non un fazioso esponente dell'opposizione, che dice che l'Italia, ha messo in campo circa lo 0,2 per cento del Pil, cioè meno di un decimo della media mondiale. E Dario Franceschini ha sbottato: “Quando è troppo, è troppo. Ieri la crisi era un problema psicologico, oggi il peggio è passato”, ha risposto da Perugia, dove si trovava per un appuntamento elettorale. “Berlusconi deve smetterla di prendere in giro gli italiani - ha rincarato la dose. Non è possibile aspettare che la soluzione cada dal cielo: il governo deve agire. Noi lo incalzeremo presentando le nostre proposte e non ci accontenteremo di un no, ma pretenderemo un voto in Aula. La sera non si mangia ottimismo a cena! Alcune categorie - ha detto il leader del Pd - hanno bisogno di un aiuto dello Stato che gli consenta di aspettare la fine dell'emergenza. Il G8 in cui si discuteranno le nuove regole della finanza globale non può essere per il governo un alibi per aspettare”. Il leader del Pd ha proseguito aggiungendo che “ci sono migliaia di italiani, lavoratori o piccoli imprenditori, commercianti, artigiani, precari, pensionati, che con grande coraggio, come sempre fanno gli italiani nei momenti di difficoltà affrontano la loro giornata. Altre persone hanno bisogno di misure per affrontare l'emergenza che consentano di aspettare la fine della crisi. Sono esattamente queste misure di emergenza che mancano e chi guida il paese non può mettere la testa sotto la sabbia. Affrontiamo le prossime settimane con una parola d'ordine scomparsa dalla politica italiana, ma che deve ritornare. La parola è serietà”. Parole simili a quelle della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. “L’uscita dalla crisi sarà lunga, complicata e dolorosa per arrivare di nuovo ad un livello accettabile. Il dato di ieri sul Pil evidenzia che siamo in una crisi molto profonda, inedita e senza paragoni. È la peggiore dalla depressione del 1929 a oggi”.
Ricostruzione in Abruzzo, no alle new town.
"No ai prefabbricati che poi tacitamente diventano permanenti, lasciando così morire i centri storici. Sul terremoto abbiamo scelto la linea piu' collaborativa - ha proseguito Franceschini - accantonando ogni polemica. Ma il dovere dell'opposizione e' anche quello di controllare la distanza tra le promesse che vengono fatte e quelle che vengono mantenute".
Franceschini in Umbria ha visitato Foligno, una delle cittadine più colpite dal terremoto del '97 e ha ricordato la bonta' del "modello Umbria" nella ricostruzione. “Qui nessuno ha pensato alle new town perché tutti volevano tornare nelle old town. tutti gli abitanti de L'Aquila - ha proseguito il leader del Pd - devono poter decidere del loro futuro e hanno il diritto di tornare nel centro storico, dove c'e' la loro identità collettiva. A L'Aquila il freddo arriva molto presto. Ma prima del grande freddo - ha detto - arriva il grande caldo e, vivere in 12 persone in una tenda, in una grande tendopoli e con servizi igienici comuni, e' un problema serio".