di Alessandro Cardulli
Fini aveva degli impegni e non poteva assolutamente partecipare al terzo atto del gran varietà berlusconiano. Siccome poteva sembrare uno sgarbo al premier che celebrava la sua apoteosi si è inventato, lì su due piedi, che, essendo Gianfranco il presidente della Camera, era meglio si astenesse da manifestazioni di parte. Per dar più credibilità a questa bugia si è coinvolto anche il presidente del Senato.
Nessuna risposta alle domande di Fini
Il capo del governo ha preferito evitare. Non poteva che fare così, dicono i suoi caporali, altrimenti avrebbe consacrato Fini come capo della minoranza. Proprio Gianfranco, fanno notare con una punta di malizia, si era definito tale anche se alcuni degli uomini a lui più vicini avevano preso le distanze. Insomma,non rispondendo, Berlusconi avrebbe fatto capire a chiare lettere che lui e solo lui è il “padre padrone” del Pdl che il partito nuovo è cosa sua. Rispondono i “finiani” di stretta osservanza che il capo del governo ha fatto una clamorosa autorete. Fini aveva detto che c’era un leader e ora ci volevano le idee. Ebbene, non rispondendo, il cavaliere ha dimostrato che le idee ce le ha solo il presidente della Camera e che esiste una minoranza e non di poco conto con la quale il presidente del consiglio dovrà fare i conti, passati gli effetti speciali dello spettacolo. Può essere. E’ certo, comunque, che Berlusconi ha mostrato la sua capacità di non dire niente, di raccontare balle, di inventare leggi, provvedimenti,investimenti che non ci sono, interventi per i precari, per i giovani, per gli anziani, sapendo che i media non lo sbugiarderanno, che quasi nessuno ricorderà dei bluff come la social card.
Un mix di autoritarismo e totalitarismo
Dietro questi giochi di prestigio c’è qualcosa di molto pericoloso che Berlusconi butta là. A lui- lo ha detto chiaramente- non basta quel 51% di voti che già oggi sono nelle disponibilità del Pdl. Non basta il bipartitismo. Vuole di più, di più, in un mix di totalitarismo e autoritarismo. Parlando di quanto ha fatto il governo per la ricerca e l’università, annuncia che la scuola pubblica dovrà essere definitivamente smantellata. Che ai figli dei ricchi saranno riservate le scuole migliori. Che scuola pubblica e privata sono la stessa cosa e le famiglie che vogliono mandare i figli dai privati avranno il rimborso delle spese sostenute. Nelle università la maggioranza dei componenti dei consigli di amministrazione sarà composta da esterni. E’ questa la parte più importante di un disegno antidemocratico: colpire la scuola, la formazione, la conoscenza è sempre stato l’obiettivo principale dei regimi autoritari, in qualsiasi parte del mondo. Da qui a smantellare la Costituzione il passo è breve. Ripete ormai come un disco rotto la litania che oggi il capo del governo non conta niente, può scrivere solo l’ordine del giorno dei lavori, il governo non conta niente, ha le mani legate dal parlamento. Ripropone quel “ pacchetto” che gli italiani hanno respinto con il referendum del giugno del 2006. Il 61% respinse i provvedimenti approvati dal centrodestra. Berlusconi li ripropone: o la sinistra accetta o facciamo da soli. Chissà come, visto che una Costituzione esiste ancora. Ai giovani in cerca di lavoro una proposta secca: “ fatevi le imprese”. Alle donne ricorda che il governo ha varato ben sette leggi a loro favore. Di che si tratta nessuno lo sa. Parla con tono, quasi pacato, a volte farfuglia qualche parola, blandisce i delegati che non contano niente, non hanno avuto voce in capitolo, definendoli “missionari della libertà”, alza la voce solo quando deve attaccare la sinistra e lo fa ogni cinque sei minuti.
Il dux chiama a raccolta il suo “popolo”
Un crescendo in particolare quando risponde alla sinistra che è la sua ossessione, all’opposizione, a Franceschini, il segretario del Pd, che lo aveva invitato a non candidarsi alle elezioni europee visto che c’è assoluta incompatibilità con l’incarico di presidente del consiglio. Quasi si altera e grida: “ Mi candido, è una candidatura di bandiera, del leader che chiama a raccolta il suo popolo”. Se è un leader si candidi anche Franceschini”. Un vero e proprio condottiero, un dux per usare il termine latino di quel “popolo” che, poco prima lo aveva acclamato presidente, senza passare per elezioni che sarebbero state un offesa al capo e aveva applaudito anche l’ufficio di presidenza, fatto di ministri, governatori, capi gruppo e qualche altro benvoluto da Berlusconi. Li vuole tutti intorno a sé mentre annuncia che ci saranno tanti organismo dove ognuno potrà trovare posto. Ce n’è per tutti i gusti. C’è Bondi, il monsignore dal tono cardinalizio destinato ad essere un sottocapo del partito, imperante Berlusconi, che aveva trovato il modo di leggere una clerico-lettera di saluto da parte di Baget Bozzo. Se ne sentiva davvero la mancanza. C’è l’altro coordinatore,Denis Verdini che, timidamente, accenna al fatto che alla Camera il testamento biologico qualche cambiamento potrà averlo e La Russa che tiene lezione a Bossi sul rapporto Pdl Lega e sul referendum elettorale. Tutte quisquiglie, direbbe Totò, che non scalfiscono il gran finale organizzato da Berlusconi in persona. A chiusura del discorso chiama tutta la presidenza del Pdl sul palco. “Le donne in prima fila, vieni qui Gelmini, Stefania dove sei, Carfagna vieni”: le chiama una per una. Intanto ha preso posto anche il coro. Foto di gruppo con signore,coro che intona inno alla gioia, meno male che Silvio c’è, fratelli d’Italia, gente che si arrampica sul palco. Le immagini sfumano, cala il sipario, le luci della ribalta si spengono, come dice Calvero-Chaplin in uno dei suoi un grandi film, domani è un altro giorno. Meno male.