LA PETIZIONE DA FIRMARE

venerdì 24 ottobre 2008

COFERENZA ASITA

La ricerca dimezzata

In molti istituti di ricerca le nuove disposizioni sulla stabilizzazione metterebbero alla porta oltre la metà dei ricercatori. Come all'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr di Roma

Il progetto di ricerca europeo Icea (Integrating Cognition, Emotion and Autonomy) - budget di 630.000 euro in quattro anni, finanziato dal VI Programma quadro - è stato vinto ed è gestito completamente da personale precario, ricercatori che vanno avanti con assegni di ricerca, borse di studio e contratti a progetto. Responsabile è Gianluca Baldassarre (64 pubblicazioni e 378 citazioni) dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr di Roma, che ha presentato e ottenuto finanziamenti anche per un secondo progetto, IM-CLeVeR (Intrinsically Motivated Cumulative Learning Versatile Robots), di cui sarà coordinatore. Di nuovo: gestito interamente da precari, porterà al Cnr 1.580.000 euro. Gianluca Baldassarre è uno “stabilizzando”, cioè uno di quelli in attesa di un contratto a tempo indeterminato. E quindi uno di quelli che, se il provvedimento annunciato dal ministro Renato Brunetta in materia di stabilizzazione nel pubblico impiego non verrà modificato, a giugno prossimo rischia di essere messo alla porta.

La presidenza dell'Istc è simbolicamente occupata dal 2 ottobre scorso. I 56 precari dell'istituto (su un totale di 92 ricercatori) contestano la legge 133/08 (ex decreto legge 112/08, in particolare si fa riferimento all'articolo 49 comma 3) e l'emendamento 37bis al disegno di legge 1441-quater (Disposizioni in materia di stabilizzazione, approvato il 15 ottobre alla Camera) che bloccano l'iter di assunzione di chi ha un contratto a tempo determinato (9 dei 56 precari dell'Istc) e non consentono al personale con contratto a termine di lavorare per più di tre anni nello stesso istituto. Tutti questi ricercatori, quindi, nel giro di pochi mesi, si troveranno senza un lavoro. E l'Istc rischia di rimanere con meno del 40 per cento del personale attuale.

Calcolare il valore del lavoro dei precari in un ente come l'Istc non è semplice. Ma basta guardare a due cifre per capire cosa si perderebbe se questo personale non potesse più lavorare: per l'anno 2007 i finanziamenti esterni per progetti presentati da precari sono stati di circa 1,9 milioni di euro, contro i circa 3 milioni di euro di fondi pubblici, di cui buona parte spesi in affitto dello stabile e in cartolarizzazioni: “La perdita dei finanziamenti esterni, che di fatto sono legati a progetti che si reggono sul lavoro dei precari (circa il 90 per cento delle domande di finanziamento ai progetti vengono redatte da chi ha contratti a termine, che diviene leader del gruppo di ricerca in caso di approvazione, ndr.), è una delle conseguenze suicide delle manovre che noi contestiamo”, spiegano i ricercatori a Galileo.

“Le regole per le assunzioni nelle amministrazioni pubbliche non funzionano per gli enti di ricerca”, sottolinea Fabio Paglieri (dottorato, borsa di studio, assegno di ricerca, contratto a tempo determinato, tutti vinti con concorso, con all'attivo tutte pubblicazioni con peer review), tra i porta voce della contestazione: “L'assegno, per esempio, è un tipo di contratto flessibile tipico solo degli enti di ricerca e delle università, ma viene assimilato, nell’interpretazione giuridica, ai Co.co.co e non a quelli a contratto determinato. L'emendamento al decreto 1441 non li considera neanche. Così i nostri 22 ricercatori con assegno di ricerca vengono esclusi automaticamente: per loro non sarà possibile né rinnovare il contratto né essere assunti”.

La storia dell'Istc è molto simile a quella dell'Istituto Materiali per l'Elettronica e il Magnetismo, organizzati in un comitato, e a quella dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per fare altri due esempi tra i molti. L'Istituto Nazionale di fisica nucleare ha redatto un comunicato stampa per denunciare la situazione dei suoi 600 ricercatori a termine su 1800 e, a Pisa, il rettore dell’Università Marco Pasquali non inaugurerà l’anno accademico, chiedendo agli altri atenei italiani di fare altrettanto.

RICERCA: ISPRA, A RISCHIO 700 PRECARI

(ASCA) - Roma, 24 ott - L'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale nato dall'accorpamento di APAT, ICRAM ed INFS, ha oggi comunicato la cancellazione dei diritti alla stabilizzazione per i lavoratori a tempo determinato derivanti dal comma 519 della legge Finanziaria 2007, con l'annullamento della relativa graduatoria ed il probabile mancato rinnovo per i Co.co.co. dell'Ente.
L'USI-RdB Ricerca ha indetto l'immediata mobilitazione del personale ISPRA, indicando come azioni di lotta la sospensione delle attivita' ed il presidio continuativo sotto il Ministero dell'Ambiente a partire da lunedi' prossimo.
''I precari dell'ISPRA hanno acquisito il diritto alla stabilizzazione con anni di lavoro sottopagato e precario nell'ente'', dichiara Claudio Argentini della Segreteria Nazionale dell'USI-RdB Ricerca. ''Piu' di 200 lavoratori a tempo determinato hanno diritto alla stabilizzazione e per il nuovo ente deve essere delineata una graduatoria unica, in cui siano certificati tutti gli aventi diritto. Chiediamo inoltre - prosegue Argentini - la conversione a tempo determinato dei circa 390 collaboratori coordinati e continuativi, che di fatto prestano lavoro di tipo subordinato, e la contestuale indizione di un concorso pubblico per l'assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari che non rientrano nella stabilizzazione prevista dalla Finanziaria 2007. Nel frattempo l'ISPRA deve rinnovare qualunque tipologia di contratto precario per un anno''.
Il segnale che arriva dall'Ente, secondo il sindacalista, e' estremamente pericoloso ed indicativo ''su quello che questo governo intende fare della ricerca pubblica''. Stiamo andando ''alla dismissione e alla cessione al privato di importanti settori che, per il bene del paese, devono invece essere rilanciati e mantenuti'': ecco perche' ''Di fronte a questo grave stato di cose richiediamo un intervento urgente del Ministro Prestigiacomo''.

Il 14 novembre sciopero generale dell’Università, Enti di Ricerca e Afam

Per le Organizzazioni Sindacali la politica miope del Governo sta minando il futuro istituzionale dell’Università, degli Enti di Ricerca e delle strutture AFAM. Sul tavolo degli imputati è la legge 133 dell’agosto scorso: drastica riduzione del turn-over, il taglio di un terzo del Fondo di Finanziamento Ordinario, il taglio delle retribuzioni del personale, la possibilità di trasformare gli Atenei in Fondazioni di diritto privato. In più desta preoccupazione il silenzio sui concorsi straordinari per ricercatori e sui tanti precari che oggi portano avanti le attività di ricerca e di didattica, la riduzione del finanziamento dei PRIN, l’impossibilità di procedere senza fondi al rinnovo del secondo biennio contrattuale per l’Università e del CCNL 2006/09 del comparto dell’Alta Formazione Artistica e Musicale e di quello della ricerca pubblica.
“Sul sistema universitario - ha dichiarato Antonio Marsilia, Segretario Generale della Federazione CISL Università - si sta scrivendo una brutta pagina politica che rivela una sorta di schizofrenia dell’attuale esecutivo. Mentre il Ministro Gelmini promette un serio piano di rilancio dell’Università i ministri Tremonti e Brunetta non concedono neppure i fondi necessari per la sopravvivenza. Sembra una presa in giro. Sono preoccupato per il clima che si sta creando. Voglio sperare che si accolga l’invito del Presidente della Repubblica e che si avvii finalmente una fase di dialogo e confronto. La nostra esperienza diretta è che in tutti questi mesi il Ministro Gelmini non ha voluto mai accordarci udienza. L’attuale crisi deve essere l’occasione per aprire, in maniera definitiva, il confronto sul ruolo dell’Università nel nostro Paese”.

“Qui lo dico, qui lo nego”: Caimano da strategia della tensione, aspre reazioni Mistretta incredulo, Demuro: illusionista

Fantasista, gaffeur o stratega della tensione? Uomo forte eppure riformista, frainteso a sinistra. Il Berlusconi delle gag getta il sasso, soffia sul fuoco e poi, al solito, “qui lo dico e qui lo nego”. «Mai parlato di mandare la polizia all'Università» rettifica, dopo essere finito in prima pagina su tutti i giornali. Smentisce se stesso, il presidente del Consiglio, a costo di negare le registrazioni video con “l'avviso ai naviganti” e la dichiarata intenzione - puntualmente messa in atto ieri pomeriggio - di convocare il ministro degli interni Maroni, “per dargli istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell'ordine” per scongiurare l'occupazione di scuole e università”. La levata di ascudo a tutto campo dopo le sue dichiarazioni sembra averlo messo in difficoltà. Eppure l'uomo non parla mai a vanvera. Casomai a sproposito. Se è vero, come spiega Giammario Demuro, docente di diritto costituzionale, che “nelle università la polizia non può entrare a meno che non siano i rettori e i presidi a chiamarla. Certo un presidente del Consiglio che per contrastare il diritto a manifestare, riconosciuto dalla Costituzione, ha bisogno di convocare il ministro degli Interni, appare in difficoltà. Se poi nega di averlo detto allora è molto pericoloso. Perché si sa che solo rettori e presidi possono chiamare la polizia per gravi motivi, cioè impedire violenze su cose e persone - spiega il giurista - E la cifra di questo movimento studentesco è la difesa di un diritto individuale, senza ideologia, né scelta di classe. Gli studenti hanno paura di non avere le stesse chances dei loro padri. Berlusconi invece parla come se fossimo negli anni Settanta. Il premier è un bravo illusionista, semplifica questioni complesse, riesce a far discutere su questioni come il grembiulino si il grembiulino no. E' surreale”. Che non sia tutto così liscio e scontato come la triade Tremonti-Gelmini-Brunetta ha fatto credere fino a ieri è però un dato di fatto. La questione vera sono i soldi, conferma Pasquale Mistretta: “La vera incertezza è lì, il documento di programmazione sul fondo ordinario che doveva essere presentato entro il 30 ottobre è slittato al 20 di dicembre”. E rettifica sulla polizia? “Ho risposto alle dichiarazioni di Berlusconi in diretta perché ho una storia in questo ateneo e quando uno studente mi ha fatto vedere l'sms con quelle dichiarazioni ho pensato a uno scherzo. Ne abbiamo parlato anche con il comandante dei carabinieri e della polizia, i nostri studenti non sono particolarissimi e la Digos segue tutto quello che succede”. Ci saranno delle aperture al confronto? “Se io lascio manifestare i 200 studenti in agitazione diventano 20, se invece glielo impedisco diventano duemila. Si tratta di strategie comportamentali. Berlusconi parla per i suoi giornali, è un artista. Tiene alta la tensione e l'attenzione, così i nemici sparano e lui è sempre sulle prime pagine. Anche quando non è il caso. D'altra parte il popolo italiano vuole questo”. Per il rettore, la protesta non otterrà grandi risultati: “Gli studenti hanno bisogno di visibilità, di leadership, la componente docenti è imboscata, ognuno deciso a difendere i propri interessi. Quelli davvero colpiti sono gli assegnisti di ricerca, per loro la porta è sbarrata. Certo, quanti devono fare carriera restano fermi, ma hanno uno stipendio. A me preoccupano di più i precari dell'amministrazione che si trovano ad avere 40 anni senza un posto di lavoro fisso e sperano molto nella nostra Università. E poi soldi non ce ne sono. O meglio ce li abbiamo ma sono usati male e se l'andazzo rimane questo sono sprecati, mi dispiace dirlo”. Un teatrino affatto ingenuo, un pas de deux perfettamente concertato tra Berlusconi e Gelmini, secondo il senatore del Pd Francesco Sanna, reduce dalla seduta del Senato dove si discute la legge sulla scuola che ha santificato in aula Maria Stella Gelmini. Mentre davanti a palazzo Madama il presidio degli studenti e di poliziotti e carabinieri vanta l'insolito rapporto di 1:1. “ Berlusconi usa armi di distrazioni di massa - dichiara il senatore sardo - vuole tenere alta l'idea di un pericolo sovversivo che non viene combattuto a sinistra, ma favorito dal Pd. E tutto questo per negare ogni critica in merito alle questioni. Lancia messaggi e contromessaggi. E' possibile che il cambio di rotta sia un segnale di pace dentro il Pdl perché l'uscita di ieri non è piaciuta ad An ed è stata un vero sgarbo istituzionale nei confronti della Lega e di Maroni. Nessun ministro dell'Interno prende "dettagliate istruzioni" in materia di ordine pubblico dal premier. Prima lui picchia e la Gelmini dice di essere disposta al dialogo. Oggi in Senato lei fa la dura e lui un passo indietro. Sulla scuola hanno rinunciato a mettere la fiducia, il ministro è venuto in aula ma ha fatto un intervento ai limiti dell'offensivo, confermando tutte le posizioni assunte precedentemente, applaudito in piedi a ogni passaggio. Così la destra si prende la rivincita sulla scuola, parla contro il sistema pubblico, tenta di vestire ideologicamente la legge scritta da Tremonti”. La scuola primaria ha dunque i giorni contati, con 30 voti di vantaggio e tempi contingentati per gli emendamenti, mercoledì ci saranno le dichiarazioni di voto. Saranno trasmesse in diretta televisiva e il governo otterrà la sua prova di forza. Per chi non vuole il maestro unico e una scuola media e superiore dimezzata nel monte ore e negli organici, resta solo la manifestazione del proprio dissenso “Far vedere che c'è un paese che in questa battaglia si riconosce, contrastare nell'opinione pubblica una lotta tutta basata sull'ideologia”. Nel frattempo è legge il commissariamento d'ufficio di quelle Regioni e Province che non dovessero mettere in pratica i piani di dimensionamento delle scuole, così come li ha previsti il governo. Una norma impugnata dalla Sardegna che, nel nome dell'autonomia degli enti locali, ne contesta la costituzionalità.

Da Mao a Saviano, così l'onda anomala ha rotto i ponti con i "nonni" del '68

di Mario Ajello
ROMA (24 ottobre) - Siamo all’eterno ritorno del sempre uguale? No, l’attuale «onda anomala» - così quelli del nuovo movimento chiamano se stessi - non è e non può essere il patetico remake, quarant’anni dopo, del ’68. O la ripetizione, si spera senza violenza, del ’77. O la copia sbiadita della Pantera, che infuriò nei licei e negli atenei fra il 1989 e il 1990.
Qualche segno di continuità esiste («Non è che l’inizio», si legge adesso negli striscioni ed è ovvio il riferimento al «c’est ne que en debut» del famoso maggio parigino), ma tante differenze intercorrono fra questi vari momenti della rivolta studentesca. «Mai fidarsi di chi ha più di trent’anni», fu uno slogan del ’68 e nel 2008, invece, c’è un minestrone generazionale: i docenti, i ricercatori, le mamme... Il rischio è che gli adulti, cioè i «baroni» e i professori conservatori e corporativi, possano strumentalizzare i ragazzi. Sfruttando la rivolta per mantenersi stretti i privilegi di casta, compreso quello dell’immobilismo. Quanto ai genitori, fra i ragazzi si sente parlare così, in maniera poco sessantottesca e ancor meno settantasettina: «Non è che la mamma non mi capisce. Mi capisce e anche io la capisco. Eppure, non lo so: non ci capiamo. Non so se capisci». Madri così vengono considerate, dalla prole in lotta, preziosissime e più micidiali di mille Pd e di diecimila Idv per abbattere la legge Gelmini.
Nel ’68, c’era il casco da corteo. Nel ’77 il fazzoletto per coprire il volto. Nella Pantera c’era un leader che si chiamava Anubi (ed è rispuntato ieri in piazza a Roma, con un grido d’accompagnamento di un giovane compagno: «Anubi, non c’hai più l’età!») e tante kefiah palestinesi al collo. Nel 2008, invece, il look da protesta prevede in molti casi un ”fularino” new hippy che se non altro dà colore (le foto del ’68 sempre in bianco e nero: uffa!).
La violenza del ’77 - quando al grande storico Rosario Romeo i giovani «marxisti immaginari» ordinarono di interrompere una lezione minacciandolo con una P38 ma lui continuò - stavolta è irrintracciabile per il momento. Allora si gridava: «Vogliamo tutto!». Oggi, quasi come una supplica, si urla: «Non rubateci il futuro».
Il mito del ’68 era Mao. Quello del ’77 - oddiooooo!!!! - Toni Negri. E anche la Pantera aveva icone e identità ben definite, infatti si gridava: «La Pantera siamo noi, ma chi cacchio siete voi!». E oggi? Un po’ di Obama (ma non troppo), un po’ di Saviano (un po’ di più) e il Che Guevara già ampiamente de-ideologizzato sta sparendo pure dalle t-shirt. E ancora. Nel ’68 in piazza c’era pure la destra. Nel ’77, no. Nell’89 neppure. Nel 2008, un pò sì. E nel ’68, per gli studenti, svettava il mito del proletario in rivolta. Nel ’77 l’eroe era il sottoproletario. Durante la Pantera era il cittadino normale che non ne poteva più dei frivoli anni ’80 e si sentiva politicamente più libero e potenzialmente più innovativo, grazie alla caduta del Muro. E infine nel 2008 del «siamo tutti precari», è il precario - anzi San Precario - che dice basta e prova a sovvertire la propria sorte e malasorte generazionale.
E la politicizzazione delle altre edizioni? Questa se ne infischia del Pd e dell’opposizione politica, ed è raro che spunti uno striscione, personalizzato e mostrificante, dedicato a Berlusconi. O contenente qualche immagine collegata al pollaio politico e al ceto partitico che questi studenti non s’attardano neppure ad odiare.
Colpisce la forte differenza rispetto alla Pantera. Allora, ’89-’90, c’era la fine della stagione del disimpegno e il tentativo di riscoprire la politica. Oggi invece il movimento è tutto post-politico e «né rosa né nera, la cultura è la nostra bandiera», si canta in piazza. Aggiungendo: «Noi non pagheremo i vostri conti». Ossia, l’avversario è la finanza che vuole dominare la società, e l’istruzione e la ricerca non devono pagare il crac delle banche. Allora, nell’89-90, c’era la critica profonda alla tivvù («Abbasso Dallas», si gridava) e all’omologazione mediatica e questo significava in fondo un implicito anti-berlusconismo, anche se il Cavaliere non era ancora sceso in politica.
Ora invece l’ossessione anti-berlusconiana è roba per attempati girotondini e basta, la tivvù è considerata un ferro vecchio (ma se Santoro ti dà un siparietto te lo prendi) e il telefonino in piazza (io fotografo te e te fotografi me) sembra il sostituto del bastone da anni ’70 e allo stesso tempo è una nemesi: prima, se qualcuno ti immortalava, temevi fosse un poliziotto, ora invece è il compagno di lotta. Pure l’uso del cellulare insomma è cambiato. E speriamo che il cellulare resti quello col display e gli studenti (o i provocatori) non spingano a muoversi i cellulari classici: quelli con le ruote e con i celerini a bordo.

”Io non ho mai detto ne’ pensato che la polizia debba entrare nelle scuole.”

”Io non ho mai detto ne’ pensato che la polizia debba entrare nelle scuole.”

“Ho detto invece che chi vuole e’ liberissimo di manifestare e protestare ma non puo’ imporre a chi non e’ della sua idea a rinunciare al suo diritto essenziale. Ancora una volta c’e’ stato un divorzio tra i mezzi di informazione e la realta”’.

‘I titoli che ho letto venendo qui, che parlano di Polizia nelle scuole, non sono condivisibili,
sono un divorzio dalla realta”


LORO SPERPERANO E POI TAGLIANO SU RICERCA E SCUOLA

Dall'intervento di Marco Travaglio ad Anno Zero. Aumenta tutto, dagli stipendi per i parlamentari, ai voli di stato. La sanità appena sfiorata. Tagli solo alla scuola. Intanto in parlamento si spendono 19 mila euro in 3 mesi per piante ornamentali, 56 mila euro in 6 mesi per camicie di servizio e 260.000 euro in agendine. Paghino loro la crisi non i precari della scuola e le famiglie. Ieri ad Anno Zero Marco Travaglio ha dato un po' di numeri. La sanità costa 102 miliardi all'anno. Un posto letto costa 455 euro in Lombardia ed il doppio al San Camillo di Roma, la Sicilia spende il 30% in più rispetto alla Finlandia per la sanità. Lo stato ha sborsato 500 milioni per i debiti del comune di Roma (fondi sottratti allo sviluppo economico) e circa 150 milioni al Comune di Catania (fondi sottratti per sostenere le scuole nelle regioni meridionali). I tagli previsti per la scuola sono di 7,8 miliardi.

Travaglio ci ricorda le promesse di Berlusconi in campagna elettorale: dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali e comunali. Eliminare le province, ma Calderoli parla di dar loro autonomia, altro che eliminare. Il costo per la gestione di Camera, Senato, Comuni, Province e Regioni si aggira intorno ai 5 miliardi

Tra le spese vengono citati:

  1. 1 miliardo di consulenze
  2. 1 miliardo per il mantenimento di commissari
  3. 1 un miliardo di finanziamenti ai partiti
  4. 700 mila euro per Senatore
  5. 19 mila euro per noleggio piante ornamentali in 3 mesi
  6. 56 mila euro in 6 mesi per camicie di servizio

Schifani spenderà 260.000 euro per l'agendina di palazzo madama.