LA PETIZIONE DA FIRMARE

martedì 30 dicembre 2008

Co.co.pro.testa: La rivista fatta da precari per i precari di Marco Patruno

A dicembre e’ uscito il quindicesimo numero della rivista on-line Co.co.pro.testa. Rivista realizzata dal gruppo Best Before di qui fanno parte S. 33 anni. grafica, genovese di nascita che insegue il lavoro su e giù per l’Italia, e B. 32 anni. Addetto stampa abruzzese di nascita, bolognese d’adozione. Precaria. La rivista che ha una grafica accattivante è fatta da precari e racconta storie e testimonianze di ordinaria precarietà. Sul numero di dicembre. In prima pagina troviamo due testimonianze precarie, una dalla regione Emilia Romagna e l’altra dalla Regione Piemonte. Ma su questa rivista non mancano idee alternative per rappresentare pur in chiave ironica il dramma della precarietà. In seconda pagina troviamo a cura di Erika B l’idea simpatica del “cruciverba precario” Il titolo fa: “Ci manca tutto, ma non il cruciverba, precario.” Pertanto se volete impiegare il vostro tempo in maniera proficua e mettere in esercizio la vostra memoria in attesa di un’altra occupazione vi consiglio di impegnarvi nella sua risoluzione (tutt’altro che semplice e scontata!!!). Nella terza pagina della rivista troviamo una serie di proposte, tra qui: Salari minimi di 1300 al mese per legge. Sussidi di disoccupazione e pensioni minime di 1000 euro al mese…Dove si raccolgono firme sul sito http://51000.it/ La rivista Co.co.pro.testa la potete scaricare gratuitamente sul sito dell’associazione venti maggio “flessibilità sicura” nella sezione documenti www.tutelareilavori.it/

Precari, scade il contratto. E il lavoro


Gli «atipici» sono 4 milioni. Il 43% lo è da più di tre anni Oltre 300 mila rischiano il posto con la fine dell'anno

Da il Corriere della Sera - «Precario» è una parola generica. Il termine tecnico è «lavoratore atipico ». Che già contiene qualcosa di poco accattivante. Discriminante, quasi. Gli atipici esistono in Italia dal '96, da quando si è cominciato a parlare di «flessibilità». Sono oltre 4 milioni gli atipici attualmente o recentemente occupati. E sono nei guai. Parliamo di circa 800 mila collaboratori a progetto, 600 mila lavoratori «a somministrazione» (una volta si chiamavano interinali), 2 milioni e 250 mila lavoratori a tempo determinato, 125 mila collaboratori occasionali, 190 mila professionisti con partita Iva, che spesso svolgono attività in una sola azienda, in modo esclusivo, tanto da essere chiamati «finti autonomi ». Totale, 15 per cento della forza lavoro. Un'ampia rassegna stampa dell'ultimo mese dimostra che la tempesta della crisi incrocerà per primo il mondo «atipico». Semplicemente, i contratti che finiscono potranno non essere rinnovati. Nella pubblica amministrazione è stato stabilito che dal 1˚ luglio 2009 chi ha oltre tre anni di precariato alle spalle non potrà più essere «stabilizzato». L'economista Tito Boeri calcola che vadano a scadenza 350 mila contratti atipici ogni mese, per Francesco Giavazzi sono un po' di meno, 200 mila al mese. Secondo la Cgil, entro la fine dell'anno, ovvero tra 48 ore, non saranno rinnovati 400 mila contratti a tempo determinato. Secondo Giavazzi, entro il 2009 svaniranno almeno un milione di posti di lavoro atipici. Per ora, effetto della crisi, il governo ha messo in campo una piccola rete di protezione per circa 80 mila collaboratori a progetto, che riceveranno fra i 700 e i 1.200 euro. Una tantum. E una forma di estensione della cassa integrazione per i contratti a tempo determinato. Emiliano Mandrone, ricercatore Isfol, il Centro studi del ministero del Lavoro, ha da poco ultimato un approfondito esame sul settore. Mandrone ha scritto: «Il lavoratore atipico sale su una scala mobile che scende: fa molta fatica di solito senza raggiungere alcun obiettivo. Questo sforzo determina un presente di rinunce (casa, figli, indipendenza) e un futuro incerto sia come carriera sia come guadagni. Il percorso verso il contratto a tempo determinato spesso è un viaggio troppo lungo con lunghe soste in contratti inferiori per qualità».

Nel 40 per cento dei casi l'occupazione atipica perdura per oltre 3 anni. Stiamo parlando di oltre un milione e mezzo di persone. Continua Mandrone: «Per chi resta atipico oltre i tre anni, questa condizione di lavoro si configura come una sorta di trappola». Il 13% lavora «a scadenza» da oltre 10 anni. Gli atipici di lunga durata hanno fra i 30 e i 40 anni, ma ci sono anche alcuni over 50 fuoriusciti da imprese in crisi. Più donne che uomini. Più meridionali che settentrionali. Occupati in media sei mesi l'anno. Per dire: i collaboratori sono il 4,1% degli occupati, l'incidenza tra le donne è del 5,7%. Il lavoro a termine riguarda 10 persone su 100, queste diventano 24 su 100 tra i giovani, 12 su 100 tra i residenti nel Mezzogiorno e 13 ogni 100 fra le donne. Più atipici nelle imprese fra gli 11 e i 15 addetti e fra i laureati. In realtà, la parola «precario», secondo gran parte degli addetti, è l'atipico con oltre dodici mesi di atipicità sulle spalle e un solo datore di lavoro. In questo senso (dati Inps) il record del precariato spetta a Reggio Calabria, con l'82,2% di precari sul totale dei lavoratori «instabili». A Roma siamo al 74,1%, mentre a Sondrio i precari sono il 25,91% e a Bolzano il 26,94%. Il reddito lordo annuo di un co.co.copro, lavoratore a progetto, è stato nel 2007 di 8.809,58 euro, qualcosa come 734 euro al mese. Lordi. Un venditore porta a porta ne guadagna 9.720 all'anno, un collaboratore occasionale 3.897. Quanto ai diritti, per fare qualche esempio, un co.co.co. in caso di malattia ha diritto a un'indennità fra i 9 e i 18 euro al giorno fino a un massimo di 60 giorni a partire dal quarto giorno, mentre i lavoratori a tempo determinato hanno le stesse tutele degli assunti in pianta stabile su malattia, maternità, infortuni. Se andate a chiedere a un interinale perché fa quel tipo di lavo ro, il 76% (ricerca Isfol 2006) risponde: «Impossibilità di trovare un lavoro fisso».

E un altro 18% dice: «È una buona opportunità per trovare un lavoro stabile». Solo il 3,5% parla di «esigenze personali di flessibilità per motivi di studio» e il 2,3% di «esigenze personali di flessibilità per motivi familiari ». Fra le motivazioni dell'assunzione a termine ce ne sono alcune che rientrano pienamente nella logica «atipica», come «sostituzione di personale temporaneamente assente » (10%), «lavoro stagionale o picchi di produttività» (17%), «il contratto è legato a un progetto o a una commessa» (12%). Ma c'è anche un 24% che dice: «Nessun motivo particolare», o «periodo di prova in vista di un'assunzione a tempo determinato» (29%). «Va fatto ordine nella sfera dell'atipicità. La flessibilità ha senso quando ha motivazioni legate al ciclo economico o alle stagionalità. In molti casi invece serve soltanto a far risparmiare l'impresa o a creare un esercito di riserva, utile a tenere bassi il costo del lavoro e le rivendicazioni salariali (l'Italia ha i salari più bassi d'Europa)», dice Mandrone. Le ricerche Isfol, che finiscono sul tavolo del ministro, offrono alcuni suggerimenti: meglio far pagare la flessibilità a chi la usa, con una maggiorazione economica per le imprese, in cambio dei costi fissi che non sostengono; meglio spendere soldi pubblici per incentivare la stabilizzazione dei contratti temporanei piuttosto che pagare sussidi. Non si tratta di tornare indietro ma di fare un passo verso quella che in Europa si chiama flexicurity, la flessibilità coniugata a forme di sicurezza. Pietro Ichino, sul Corriere, ha fatto una proposta per superare i lavori di serie B o C: contratti a tempo indeterminato per tutti, ma non «ingessati»; indennizzi; agevolazioni per la ricollocazione. Mandrone propone di «passare (tornare) a principi universalistici ed assicurativi invece di continuare a segmentare il mondo del lavoro», dice. La crisi, tuttavia, non aiuta a veleggiare verso tali lidi.

Perché il Papa si occupa dei precari


da Il Giornale - L’intervento del Papa sui precari ha lasciato stupiti i commentatori italiani perché non è nello stile spirituale di Benedetto XVI entrare nei problemi che riguardano direttamente la vita politica e sociale. La tanto attesa enciclica sociale non è poi apparsa.
I problemi nati dalla globalizzazione sconvolgono le categorie etiche e politiche su cui si è fondata la società occidentale nel secondo dopoguerra; rendono difficile stabilire un criterio equo per una società mondiale che non è più regolata soltanto sul ritmo dell’Occidente; fanno divenire incerti i diritti fondati sullo Stato sociale emerso nel secondo dopoguerra come formula di equilibrio della giustizia nella società. È paradossale che ciò sia avvenuto grazie a un sistema comunista come quello cinese, che ha separato il lavoro da ogni concetto di diritto e ha creato così una macchina che non ha nulla a che fare con il capitalismo occidentale, nato dall’iniziativa delle persone. I ritmi cinesi si imprimono sulle società europee e le obbligano a una competizione che viene fatta con regole truccate. Il precariato rappresenta una risposta al fatto che il mercato è divenuto altamente variabile e la competizione è diventata mondiale. In Italia questo si è verificato in misura più grave perché il sistema dello Stato sociale è stato creato dai sindacati in funzione della tutela dei loro attuali iscritti e quindi sulla misura delle generazioni che hanno conosciuto la pienezza dello Stato sociale europeo. Ciò ha creato l’incertezza del destino per la nuova generazione che entra ora nel mercato del lavoro e non conosce alcuna protezione sociale. Questa è una sfida del nostro tempo che i singoli Paesi europei devono affrontare, ciascuno per conto proprio. Naturalmente la Chiesa ha il diritto di parlare in nome dei problemi che riguardano l’essenza della vita umana, compreso il diritto alla famiglia che per la Chiesa è la cellula fondamentale della società. E certamente il precariato non giova alla formazione della famiglia. È giusto che la Chiesa dia voce agli esclusi di oggi, e soprattutto alla generazione dei giovani che esce dalle garanzie dello Stato sociale tradizionale. Tanto più che i giovani di oggi non sono più una classe, nemmeno come generazione. Questa generazione non ha un volto politico, può rappresentarsi solo con la protesta o con il silenzio rassegnato. La Chiesa ha diritto di esprimere la voce dei bisogni sociali che emergono nel passaggio di sistema sociale che oggi conosciamo.
Ma è comprensibile che il Papa abbia fino ad ora evitato di fare una enciclica sociale. Il problema della società globalizzata è di fronte a noi ed esso vede soprattutto la fine della storia come storia dell’Occidente e l’ingresso in essa di popoli che vengono da tutte le culture storiche del pianeta. Tutti i tempi della storia convergono come attori in uno spazio sociale unico.
Evocando i problemi il Papa non propone soluzioni. Dà solo voce a una realtà che soffre l’emarginazione e che porta il peso dell’ingresso nella nuova storia. In essa la religione avrà una grande importanza e prenderà il posto della politica come identità più radicata e diffusa in una società fatta di individui che cercano un senso per la loro vita. Anche la Chiesa apprende dal tempo che vive quello che essa rappresenta con il suo linguaggio. Per questo è bene che faccia interventi puntuali su problemi singoli e non affronti il tema della società globalizzata nel suo insieme, perché la realtà della globalizzazione va oggi oltre il pensiero che vuole interpretarla.

PRECARI, I SINDACATI "RISPONDONO" ALL' APPELLO DEL PAPA


(AGI) - Roma, 29 dic. - 'I precari, quasi tre milioni di lavoratori dimezzati che popolano l' Italia, preoccupano il Papa', scrive Repubblica, sottolineando che 'la loro condizione di incertezza e' entrata a pieno titolo nelle parole del Pontefice che ieri all' Angelus ha espresso il suo timore per l' aumento delle forme di lavoro precario. Un appello forte - prosegue il quotidiano - soprattutto con una crisi economica che non si come si evolvera', ma di cui gia' si vedono le conseguenze sul mondo del lavoro. Cassa integrazione, aziende con l' acqua alla gola e lavoratori che vivono nell' incertezza del futuro'. Le parole di Benedetto XVI 'hanno dato subito voce ai sindacati' aggiunge Repubblica, con 'Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, che chiede l' apertura di un tavolo con il governo per affrontare la crisi, aperto non solo alle parti sociali, ma anche all' opposizione'. 'No del Papa al lavoro precario' scrive anche l' Unita', cosi' come La Stampa che titola: 'L' altola' del Santo Padre al lavoro a termine', articolo corredato dall' intervista a Valeria Pireddu che, dopo un anno di lavoro 'in nero' presso l' Opera romana pellegrinaggi, e' ora in causa all' Ispettorato del lavoro.