Sui precari dell'istituto di ricerca e la protezione ambientale, i numeri di Brunetta sono tutti sbagliati. In particolare, rischiano il posto in 400 entro la fine dell'anno, professionisti che tra le altre cose si occupano di controlli sul nucleare, ciclo dei rifiuti, emergenze ambientali e siti contaminati
Anche i capitani di ventura hanno una famiglia e i mutui da pagare. Forse il ministro Brunetta non ne è a conoscenza, ma i precari degli enti di ricerca sono italiani come tutti gli altri, che hanno i figli da mandare all'asilo, l'affitto e le rate della macchina da pagare, e come tutti gli altri a 40 anni o più vorrebbero avere un lavoro stabile e non saltare da un posto all'altro.Questo, a maggior ragione, quando svolgono compiti delicati come quelli di chi è impiegato, spesso da molti anni, all'ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) nato l'estate scorsa da una frettolosa fusione con ICRAM e INFS, Istituto dal quale centinaia di precari saranno espulsi, grazie a Decreti ed Emendamenti. In particolare, rischiano il posto in 400 entro la fine dell'anno, professionisti che tra le altre cose si occupano di controlli sul nucleare, ciclo dei rifiuti, emergenze ambientali e siti contaminati.
Il ministro ha detto a "Repubblica" che i lavoratori degli enti di ricerca aventi diritto alla stabilizzazione, secondo le Leggi Finanziarie 2007 e 2008, sono 1.886, e di questi la tabella riportata dal quotidiano ne assegna ad ISPRA appena 65. Peccato che, se ci si limita all'ex APAT, ci sia una graduatoria di aventi diritto che comprende oltre 150 nomi, oltre a quelli di ICRAM ed INFS e coloro che avranno diritto in base alla legge di bilancio 2008, per la quale ancora non è stato pubblicato il bando.A livello informale, l'amministrazione ISPRA ha informato esponenti sindacali di non aver mai fornito una cifra come quella, peraltro anche gli altri numeri relativi a ISPRA pubblicati nella tabella di "Repubblica" sono errati. Ma i totali corrispondono a quelli dichiarati dal Ministro nell'intervista, quindi evidentemente il Professor Brunetta li "riconosce" come suoi.
L'ISPRA è ancora privo di statuto e pianta organica, ma l'ex APAT continua a portare avanti le attività di sua competenza, spesso avvalendosi di un gran numero di precari. L'opinione pubblica non sempre ha chiaro che il personale a tempo determinato, co.co.co, a partita IVA o con altre forme di contratto non è un dipendente a latere, alle prime armi, destinato a dare «una mano» a coloro che detengono una posizione stabile. Si tratta invece di professionalità di livello, formate da anni ad assumere ruoli di alto profilo tecnico e specialistico, le cui qualifiche spesso in Italia si contano sulle dita di una mano. Ne sono esempio il settore che si occupa del controllo delle emissioni e di qualità dell'aria e quello che lavora sui rifiuti.
Emissioni in atmosfera - Anche l'Italia, come ogni nazione europea, tiene un registro di tutte le emissioni in atmosfera prodotte dalle aziende, sia per adempiere ai dettami del Protocollo di Kyoto che per evitare danni alla salute dell'uomo.L'Ispra ha al suo interno un ufficio specifico che si occupa di conteggiare quello che le nostre imprese immettono in atmosfera. Ci lavorano da anni 27 persone, 19 delle quali precarie ( il 70%). Cosa accadrebbe se i loro contratti non venissero rinnovati? Salterebbe il "Registro Nazionale dei Crediti di Emissione": cioè non ci sarebbe più nessuno a riconoscere e registrare ufficialmente l'acquisto e la vendita di emissioni da parte degli operatori industriali, con un grave danno economico per le stesse imprese. Si calcola che nel Registro tenuto dall'ISPRA ad oggi risiedano circa 25 miliardi di euro. Emettere Co2 in atmosfera costa alle imprese circa 25 euro a tonnellata. Un costo legato ai potenziali (e spesso effettivi) danni alla salute dei cittadini e agli effetti sul clima globale. Nel caso non si garantissero le funzionalità del registro, il Paese potrebbe non essere più conforme ai requisiti previsti dal protocollo di Kyoto e rischiare gravi conseguenze politiche ed economiche. L'Italia potrebbe infatti vedere l'apertura di ulteriori procedure di infrazione comunitarie che, come sappiamo, gravano sul bilancio nazionale in termini di sanzioni economiche. Senza considerare il fatto che i processi relativi alle emissioni sono molto complessi e richiedono tempi lunghi di specializzazione e formazione del personale. Il che significherebbe anche un lungo vuoto di competenze istituzionali.
Rifiuti - Ogni anno l'ex Apat controlla che le amministrazioni locali si occupino di raccogliere i rifiuti delle nostre città, favorire la raccolta differenziata, smaltire i rifiuti speciali e pericolosi. Lo fa grazie ai dati raccolti ed elaborati dal Settore addetto, pubblicati nel Rapporto Rifiuti. Il report fa da pungolo alle amministrazioni locali affinché gestiscano in modo corretto il ciclo dei rifiuti e così facendo scongiurino danni alla salute dell'uomo. Anche in questo caso, senza i precari (quasi il 90% dei dipendenti totali), l'operatività del servizio si bloccherebbe e l'Italia non avrebbe più un controllo affidabile sulla gestione dei rifiuti.