LA PETIZIONE DA FIRMARE

mercoledì 17 giugno 2009

Non sparate alla ricerca

Caffè Fandango, Piazza di Pietra 32/33
Roma, ore 19.30

da galileonet.it - I precari dell’Ispra (Istituto per la Protezione e la Ricerca ambientale), vogliono fermare il licenziamento di 430 loro colleghi previsto tra giugno e dicembre, già annunciato dalla struttura commissariale che gestisce l’Istituto: per sensibilizzare l’opinione pubblica, presentano quindi un clip autoprodotto, dal titolo “Non sparate alla ricerca”, per spiegare cosa accadrà con la “morte” della ricerca e dei controlli ambientali.
Alla proiezione, prevista per le 19.30 del 18 giugno al Caffè Fandango di Roma, farà seguito una tavola rotonda sulla situazione e le prospettive della ricerca ambientale in Italia dal titolo “La ricerca di Pulcinella”,cui parteciperanno personalità del mondo scientifico e politico, ricercatori ed ambientalisti. Nell’occasione,sarà anche presentata una lettera aperta che i precari Ispra hanno scritto al Ministro dell’Ambiente,Stefania Prestigiacomo, responsabile del dicastero vigilante sull’Istituto e sui suoi lavoratori. Verrà dato il via anche ad una raccolta di firme cui tutti i cittadini potranno aderire, visto che avverrà sul web, attraverso il sito internet www.nonsparateallaricerca.org.
Fino all'anno scorso, esistevano due Enti pubblici di Ricerca: l’Icram, unico Ente pubblico ad occuparsi di mare, in un Paese con 8mila Km di coste, e l’Infs, l’Istituto nazionale Fauna selvatica. Esisteva poi un’Agenzia governativa per l’Ambiente, l’Apat, che si occupava di Protezione Ambientale: ognuno dei tre soggetti aveva un’identità forte e competenze tecnico-scientifiche di grande livello, ma fondamentalmente diverse tra loro. Ad Agosto 2008, il Governo li ha fusi in un’unica entità, creando l’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (Ispra).
Da quel momento, tutte le procedure economico-amministrative che erano state ritagliate su misura per le varie attività dei tre ex enti sono state sostituite con procedure arcaiche e farraginose, assolutamente non idonee allo svolgimento delle attività di ricerca. Ora, sono 200 le persone che il 30 giugno vedranno i loro contratti non rinnovati, e da qui alla fine dell’anno si arriverà al licenziamento di 430 unità pari a più di 1/3 del personale Ispra. I precari chiedono chiarezza e garanzie sul proprio futuro, come su quello della tutela dell’ambiente in Italia.

Un'Italia che arranca

La grave crisi che stiamo attraversando colpisce soprattutto le famiglie dei lavoratori e le fasce più deboli della popolazione…. C'è un'Italia che arranca e non ce la fa… nell'indifferenza generale!

Insomma.it - In Italia l'emergenza sociale riguarda ormai circa 15 milioni di persone e si sa bene –ha detto il Papa recentemente a Cassino- “quanto sia critica la situazione di tanti operai, di tanti lavoratori, di tanti giovani. La ferita della disoccupazione induce i responsabili della cosa pubblica a ricercare delle valide soluzioni, creando nuovi posti di lavoro a salvaguardia delle famiglie”. Lo stesso messaggio, l’ha ribadito il cardinale Bagnasco, l’ha ricordato di nuovo Benedetto XVI all’assemblea della Cei. Infine, con parole drammatiche, è intervenuto il governatore della Banca d’Italia Draghi: “Le imprese proteggano i lavoratori”. Non è assolutamente vero che siamo fuori dal tunnel e che in Italia non ci sono più i poveri! Draghi ha riassunto i dati d’una situazione sempre più tragica: il prodotto interno lordo, cioè la ricchezza prodotta dal Paese, è calato del 5 per cento; il 10 per cento dei lavoratori ha perso già il posto. Sono numeri che inchiodano imprenditori, sindacati e classe politica a una maggiore responsabilità. Le azioni fin qui intraprese non hanno sortito effetti e l’Italia scivola, pericolosamente, verso il baratro sociale. Benedetto XVI nel discorso all’assemblea della Cei ha indicato chi ne fa le spese: “Nonostante le misure intraprese a vari livelli, gli effetti sociali della crisi non mancano di farsi tuttora sentire, ed anche duramente, in modo particolare sulle fasce più deboli della società e sulle loro famiglie”. Oggi queste fasce più deboli tendono ad allargarsi. Il lavoro precario inquieta sempre più famiglie. Chi dipende dai rinnovi contrattuali anno dopo anno, rischia di più. Sono i quarantenni e cinquantenni i più esposti a un lavoro che traballa. L’ultimo rapporto Istat fotografa una situazione tragica: l’industria espelle migliaia di lavoratori. Lo fa in silenzio, un licenziamento dopo l’altro, pochi numeri per volta, che messi in fila diventano spaventosi. Un lavoratore su due non ha la sicurezza del posto di lavoro. Rischio elevatissimo per chi ha 45-50 anni e una famiglia con i figli ancora in età scolare. Sono lavoratori che difficilmente troveranno un altro lavoro stabile. Passeranno gli anni futuri a fare capriole per campare, per sopravvivere! C’è un’Italia che arranca e sta male, cui non bastano gli ammortizzatori sociali. Il ministro del lavoro Sacconi, bisogna ammetterlo, aveva lanciato l’allarme, proponendo una “moratoria dei licenziamenti”, affidata al “buon cuore” degli imprenditori. Sarebbe stato un piccolo argine. Ma lo stesso ministro è stato preso in giro dalla sua baldanzosa parte politica. Quella proposta conteneva una provocazione e un’analisi della crisi che alla maggioranza non poteva piacere, perché avrebbe velato l’ottimismo di facciata che il governo deve trasmettere con tanto di plastificati sorrisi e pacche sulla spalla. Nel mondo incantato e surreale delle suggestioni medianiche non c’è posto per la povertà: crea imbarazzo! Perciò la questione sociale sembra non interessare, risulterebbe troppo deprimente pensarci, meglio distrarsi col gossip, le veline, le ville al mare, le barche, lo champagne, le vacanze -che molti ormai, non potendosele più permettere, son disposti ad indebitarsi con l’usura, pur di riuscirle a fare ancora esotiche!- Al lavoro precario corrispondono redditi più bassi. L’anno scorso, una famiglia su cinque ha avuto serie difficoltà ad arrivare a fine mese. Il 10 per cento delle famiglie non riesce a comperare cibo in quantità sufficiente e il 6 per cento non ce la fa a pagare le bollette. Eppure, sembra che questa Italia che arranca non interessi a nessuno, si continua a puntare solo su chi vive già un “relativo” benessere. Da tempo viene segnalata da più parti questa drammatica situazione. Basterebbe rileggersi l’ultimo Rapporto della Caritas sulla povertà in Italia. Ma quei dati danno fastidio, denunciano un’iniqua distribuzione del reddito nel Paese. Quando viene invocata una maggiore solidarietà sociale, ci si riferisce proprio a questo. Eppure degli esempi virtuosi ci sono: il “progetto di assistenza alimentare alle famiglie bisognose” condotto da METANOVA ed il “fondo di garanzia per il microcredito” gestito da FINETICA. Ma la solidarietà, al di là della privata e volontaria iniziativa, dovrebbe assumere un diffuso valore politico ed economico, traducendosi in atti pubblici e nell’impegno di risorse pubbliche più significative. Oggi ci sono due Italie che fanno vite parallele ignorandosi l’una con l’altra! Chi ha responsabilità di governo, ai vari livelli, avrebbe il compito di riunirle onde evitare conflitti sociali, privilegiando ovviamente coloro che stanno peggio, a cominciare dalle famiglie dei lavoratori.


Per chi votano i precari?

di Tonia Mastrobuoni - Il Riformista

Per chi votano i precari? La domanda, ammette Nando Pagnoncelli, presidente dell’Ipsos, «non è peregrina», visto che si tratta ormai di milioni di persone, di una fetta crescente di lavoratori con una scadenza scritta sul contratto. Il suo istituto, osserva, non ha mai svolto un sondaggio sulle preferenze politiche di questi lavoratori. Anche perché «è molto difficile definire il termine “precario”», a tutt'oggi. Ma la questione è interessante perché stiamo parlando della categoria più dimenticata degli ultimi dieci anni. E non solo dai partiti.
Il crescente universo dei precari è vittima di una promessa mancata. Che si ripete dal 1997 di governo in governo, di qualsiasi colore. Da quando è stata introdotta cioè la prima riforma seria che ha flessibilizzato il mercato del lavoro, la Treu. Da allora un'ampia platea di lavoratori, sempre più giovane e “rosa” e sempre più concentrata al Sud, che oscilla negli studi più autorevoli tra i 2,8 e i 4 milioni, attende invano “il lato b” di quella riforma. Cioè un riordino serio degli ammortizzatori sociali, richiamato di recente con forza anche dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. A fronte di un abbattimento drastico della rigidità in entrata avvenuta dagli anni Novanta, con tipologie di contratto che si sono moltiplicate fino a raggiungere cifre parossistiche (oggi sono una quarantina), i governi hanno sempre promesso che avrebbero risistemato l'obsoleto sistema misto di cassa integrazione e disoccupazione, per offrire una tutela a questi funamboli senza rete. Invece, niente. Tanto che nei rapporti della Ue sull’occupazione, l'Italia continua ad essere criticata per un livello di sicurezza sociale molto basso, se non totalmente assente, che contrasta con un livello di flessibilità lavorativa «medio-alta». Se i milioni di precari dovessero trarre una lezione da questa enorme promessa mancata degli ammortizzatori sociali, se dovessero giudicare le rare iniziative spot messe in campo da qualche governo (come il limite dei 36 mesi di contratti a termine del governo Prodi o l'una tantum per i precari nel decreto anticrisi dell'attuale esecutivo), verrebbe di pensare che questo esercito crescente di precari, nei confronti del quale anche il sindacato è stato piuttosto distratto, stia ingrossando le fila degli astensionisti. Il primo problema, tuttavia, è definire i precari. Nella relazione annuale presentata il 29 maggio scorso, la Banca d'Italia ha prodotto la famosa tabella, contestata dal premier, su 1,6 milioni di occupati, sia a tempo indeterminato (nel privato) sia a termine (qui sono esclusi gli autonomi “veri”, non i parasubordinati mascherati) che rischiano di restare senza tutele. Ma dalle tabelle si desume anche una cifra complessiva sui lavoratori flessibili: 1,960 milioni di lavoratori a termine, 116mila interinali, 260mila apprendisti e 542mila collaboratori a progetto «e altri autonomi parasubordinati». Totale: oltre 2,8 milioni di lavoratori con una scadenza scritta sul contratto. Un numero che coincide con quello dell'Istat, che nell'ultimo rapporto annuale lo traduce in percentuale: 11,9 per cento di cosiddetti «atipici». Ma c'è chi li chiama precari, come Emiliano Mandrone, un ricercatore dell'Isfol che aggiorna le sue stime spesso su Lavoce.Info, e include in questa stima non soltanto gli occupati a termine ma anche i parasubordinati, cioè chi è formalmente autonomo ma ha un rapporto di lavoro da dipendente. Infine, Mandrione include nel calcolo anche le persone in cerca di lavoro, dopo la scadenza di un contratto. Totale: 4 milioni di «precari»: 3,5 milioni occupati e circa 0,5 milioni di «non più occupati». Sui parasubordinati mascherati da autonomi, anche l'Istat ammette che c'è qualche problema di classificazione. Infatti, sempre nel rapporto 2008, l'istituto di statistica scrive che ci sono circa 100mila autonomi che includono muratori, collaboratrici domestiche, camionisti o assitenti familiari, «che potrebbero rientrare, in base a un criterio di parasubordinazione, nell'area del lavoro atipico, ma potrebbero anche risentire prima di altre della persistente contrazione della domanda». Viceversa, c'è un'ampia platea di collaboratori che sono dirigenti o ricercatori universitari e che «vantano comunque consistenti margini di autonomia» nel lavoro e nell'orario. Insomma, che nell'immaginario difficilmente vengono associati al precariato. Comunque, al di là dei confini labili del termine, quello che caratterizza una parte ormai consistente dei lavoratori, soprattutto giovani, donne e meridionali, ammettono ormai tutti, dall'Istat all'Isfol, è una permanenza troppo lunga nel lavoro con contratti flessibili, che ha conseguenze pesanti sia sulle carriere e le prospettive, sia sulle retribuzioni. E sono anche senza protezione, tra un lavoro all'altro. Un milione e mezzo di persone, secondo Mandrone, soffrono ogni anno di periodi più o meno lunghi di inattività. E le retribuzioni, come osserva l'Isfol, «spesso non corrispondono alle esigenze di giovani che vogliano legittimamente rendersi autonomi dalla famiglia, così come le donne, quando, per lavorare, debbano accollarsi l'onere dei servizi per la cura dei familiari».
Guadagnano, dice l'Istat, in media 1024 euro al mese, «il 24 per cento in meno di un dipendente standard a tempo pieno». Negli anni, siccome non hanno scatti di anzianità, diventa «particolarmente significativo il progressivo allargamento del differenziale salariale al crescere dell'anzianità lavorativa». L'allungamento dei tempi raggiunge in alcuni casi livelli insostenibili (si veda la tabella accanto): 1 milione e 600mila lavoratori, rileva l'Istat, «sono presenti nel mercato del lavoro per più di dieci anni». Chi entra in questa “trappola della precarietà” è collocato «in classi di età più adulte, spesso con ruoli di responsabilità familiare». Per queste persone un' eventuale perdita del posto del lavoro è, perciò, «più grave».

TERREMOTO: ODG BIPARTISAN PER INGV. STABILIZZAZIONI NECESSARIE

(ASCA) - Roma, 16 giu - L'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia rappresenta un'importante componente del servizio nazionale di protezione civile. La sua attivita' e' fondamentale per la mappatura del rischio sismico e per l'individuazione dell'epicentro dei terremoti, in modo tale da indirizzare al meglio la macchina dei soccorsi.
Per questo, consapevoli che si rafforzerebbe la protezione dal rischio sismico e per non perdere importanti competenze, il PD e il PDL hanno presentato un ordine del giorno durante la discussione del decreto terremoto. In accordo a quanto detto piu' volte dal ministro Brunetta, cioe' che dove vi sia la possibilita' si proceda alle stabilizzazioni, i deputati Madia (PD) e Cazzola (PDL) insieme ad altri 12 colleghi dei due schieramenti hanno chiesto al governo di allargare l'organico dell'ente, permettendo cosi' di assumere i precari e rafforzare l'INGV.
''Oggi - e' stato spiegato - l'INGV utilizza centinaia di precari; personale di ricerca che l'Ente vorrebbe stabilizzare. Assumerli a tempo indeterminato non costerebbe nulla allo Stato. L'INGV spende poco per il personale e riceve notevoli finanziamenti esterni per la sua attivita' di ricerca. Cio' che manca alle stabilizzazioni e' un pezzo di carta. La pianta organica dell'Ente, cioe' il numero di persone che possono essere assunte, e' ancora ferma all'inizio delle attivita' dell'INGV e non riflette le esigenze attuali''.