LA PETIZIONE DA FIRMARE

lunedì 13 luglio 2009

Lavoro “verde” – Caso Ispra

dal sito Autoambiente
Opinioni
Un colpo di scure sulla ricerca ambientale nazionale
Il 1° luglio duecento tra precari, collaboratori coordinati e continuativi e a tempo determinato di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, hanno perso il proprio lavoro. Un “reggimento” destinato a raddoppiare per la scadenza di altri 230 contratti a fine dicembre che andrà a infoltire l’esercito dei neo disoccupati del settore ecologico della pubblica amministrazione. A fine 2008, infatti, centinaia di professionisti del “verde” hanno dovuto lasciare i propri incarichi per decorrenza dei contratti di lavoro. Si tratta di guardie ecologiche, tecnici, ricercatori ed esperti di varie discipline.
Di laureati in ingegneria ambientale e biologia, di persone con dottorati di ricerca e specializzazioni. Di diplomati che hanno passato anni sui libri a studiare la legislazione ambientale, le tecniche per la tutela del suolo, delle risorse idriche e dell’atmosfera. Sono coloro che rilevano la qualità dell’acqua e dell’aria, l’inquinamento elettromagnetico e acustico, monitorano le discariche e il dissesto idrogeologico, le emissioni industriali e i reati ecologici. Sono coloro che tutelano il territorio dall’abuso edilizio, dalle discariche abusive, che elaborano i dati così preziosi per noi giornalisti e per chi deve sviluppare le politiche ambientali. Un esercito indispensabile per difendere le risorse naturali e la salute dei cittadini che ha contribuito a creare l’enorme quantità di documenti disponibile sul sito dell’Ispra.

Uno Stato che crea precari, disoccupati e disagio sociale
“La mobilità lavorativa, associata alla deregolamentazione generalizzata, (…) quando (…) diviene endemica, crea forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza (…). Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale. (…). L’estromissione dal lavoro (…) mina la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. Desidererei ricordare a tutti, soprattutto ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo”. A scrivere queste parole non è un acerrimo sindacalista o un oppositore politico, ma Papa Benedetto XVI nella recente Enciclica “Caritas in veritate”. Una voce, quella del Pontefice, che si aggiunge a un lungo elenco di opinioni contro il precariato, come quelle dei Nobel Rita Levi Montalcini (Medicina 1986), Dario Fo (Letteratura 1997) e Joseph Eugene Stiglitz (Economia 2001). Lo studioso americano nella sua prefazione a "Schiavi moderni", libro che raccoglie oltre 400 storie di precari voluto da Beppe Grillo (scaricabile gratuitamente dal Blog del comico o acquistabile in versione cartacea a 8,90 euro), ne svela i risvolti negativi per l'economia nazionale. "Politiche", scrive il premio Nobel, "volte all'aumento della flessibilità del lavoro (...) hanno spesso portato a livelli salariali più bassi e a una minore sicurezza dell'impiego. Tuttavia, esse non hanno mantenuto la promessa di garantire una crescita più alta e più bassi tassi di disoccupazione. Infatti, tali politiche hanno spesso conseguenze perverse sulla performance dell'economia, ad esempio una minore domanda di beni, sia a causa di più bassi livelli di reddito e maggiore incertezza, sia a causa di un aumento dell'indebitamento delle famiglie. Una più bassa domanda aggregata a sua volta si tramuta in più bassi livelli occupazionali". Una politica, quindi, controproducente che nasconde anche un dispendio monetario insensato: il 40% dei lavoratori precari (che nel 2006 erano, secondo l'Istat, quasi 4 milioni in Italia) è laureato, titolo per il quale lo Stato ha investito ingenti risorse economiche per consentirne il raggiungimento. "Ma se mettete i precari a servire patatite fritte o nei call center", si chiede provocatoriamente Stiglitz, "perché spendere tanto per istruirli?"
Opinioni che riaffermano il principio fondamentale con il quale si apre la Costituizione italiana: l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Principio rimarcato all'articolo 4, "la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto", ma che è proprio lo Stato a non rispettare. Come è possibile che in un ente pubblico di 1600 occupati 430 siano con contratto precario? Un numero che arriverebbe a 630 se il Governo Berlusconi non fosse stato costretto a regolarizzare altri 200 precari a “causa” di un provvedimento antecedente del Governo Prodi. E come è possibile che persone impiegate da 5, 8 o 10 anni con lo stesso datore di lavoro, con tanto di postazioni e recapiti propri, non abbiano un contratto a tempo determinato? E come si può sprecare tanta conoscenza “verde” sapendo che l’ambiente sarà uno dei settori trainanti per l’economia, e non solo, del futuro prossimo? Il personale dell’Ispra, come quelli che operavano nei Parchi naturali e in altri enti pubblici, è portatore di un sapere che è difficile, se non impossibile, da sostituire. La cultura che inglobano è una risorsa per il Paese, risorsa che sempre più viene sprecata costringendo i giovani a emigrare per sviluppare le proprie professionalità. Una migrazione che svuota l’Italia di competenze preziose necessarie per la crescita economica e sociale del Paese. Il tutto assume un aspetto paradossale se, come accennato, si pensa che la green economy è considerata da molti la via d’uscita alla crisi e che gli impieghi “verdi” sono, come ha rilevato il Rapporto WWF “Lavori a basso contenuto di carbonio per l’Europa”, destinati ad avere una forte crescita.



La scusa sono i soldi, ma le ragioni sembrano politiche
La motivazione ufficiale della mancata conferma dei 200 precari è lo sforamento del budget riservato ai lavoratori atipici dell'Ispra. Una giustificazione che, a nostro avviso, non regge. Se si gettano dal finestrino (dell’aereo) qualche manciata di miliardi per salvare l’Alitalia o, come denunciato da Rete Italiana per il Disarmo, si spendono 15 miliardi di euro per l’acquisto di 131 cacciabombardieri, dei quali si potrebbe fare a meno (soprattutto in momenti di crisi), vuol dire che i soldi ci sono. E se si desidera qualche suggerimento su dove recuperali basta visionare una qualsiasi puntata di Report. Non solo. Molte attività dell’Ispra sono fonte di guadagno per lo Stato e rinunciarvi si trasforma in un mancato introito per il bilancio nazionale.
Se la voce monetaria non sembra pertinente vuole dire che le ragioni si devono cercare altrove. Presupposto che chi governa il Paese sia dotato di buona intelligenza per comprendere le conseguenze delle proprie decisioni, il sospetto è che dietro ai continui “licenziamenti” nel settore ambientale, e non solo, ci siano progetti precisi. Per molti il taglio delle guardie ecologiche nel 2008 è un chiaro indicatore di maggiore tolleranza verso gli abusi edilizi e i reati ambientali. Per la mancata conferma dei lavoratori dell’Ispra si pensa a un possibile, citiamo dal Blog dei precari, “smembramento dell'Istituto e conseguente privatizzazione di controlli e ricerca ambientali, come sembra dimostrare la massiccia ricerca di personale da parte della Sogesid, proprio nei ruoli oggi svolti da ricercatori e personale Ispra”. Un’ipotesi che appare quanto mai realistica considerato che presidente e amministratore delegato di Sogesid è Vincenzo Assenza, “mastelliano di ferro” confluito nel Popolo delle Libertà. Ricordiamo che la sua nomina al vertice della società da parte della concittadina, nonché Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo è apparsa “sospetta” ai giornalisti Giuliano Foschini ed Emanuele Lauria della redazione palermitana di Repubblica. Noi non abbiamo elementi per dubitare della professionalità dell’avvocato siracusano (ma neanche per confutare le perplessità dei colleghi siciliani), ma il timore è che si stia operando l’ennesima invasione della politica (che, per la sfortuna degli italiani, è bipartisan) in settori di rilievo, come lo è l’ambiente, che dovrebbero rimanere indipendenti. Il passaggio del monitoraggio ambientale da un Ente pubblico di ricerca soggetto a precisi controlli, come è l’Ispra, a una Società per Azioni, quale la Sogesid, è quantomeno inopportuno. Significa incrementare la possibilità di comportamenti clientelari e dare la possibilità di manipolare i dati ambientali, svuotarli di significato a secondo delle esigenze politiche di chi è al Governo. Non a caso, pare che uno dei settori ad essere stato smobilitato per primo sia quello che opera nei rilevamenti delle radiazioni nucleari.
Dovremmo avere uno Stato che crea occupazione a tempo indeterminato, tutela l’ambiente e la salute dei cittadini e investe risorse per uno sviluppo economico ecosostenibile. E invece ci ritroviamo in una nazione che toglie lavoro qualificato, che sottostima la rilevanza dei beni naturali e che pare ancorato a una mentalità industriale del passato. E lo fa sacrificando giovani validi che hanno l’unica colpa di non di rientrare nella visione privatista della politica che ha già creato, come accertato dalle inchieste sulla "salute" di Report, effetti negativi alla sanità pubblica con l'esplosione del precariato, delle spese di gestione e delle truffe a danni di collettività e malati.

Stefano Panzeri