LA PETIZIONE DA FIRMARE

lunedì 29 giugno 2009

DL FISCALE: IDV, GOVERNO LASCIA FUORI PRECARIATO

(ASCA) - Roma, 29 giu - ''Ancora una volta il governo lascia fuori dalle misure anticrisi il precariato''. Lo dichiara Antonio Borghesi, vice capogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera commentando il decreto anticrisi approvato venerdi' dal Consiglio dei Ministri.

''L'insieme di provvedimenti contenuti nel nuovo decreto - prosegue Borghesi - fa pensare che in qualche modo il governo si sia svegliato sulla crisi economica. Nel pacchetto sono contenute misure importanti, come la detassazione degli utili sugli investimenti. Tutto questo, pero' - sostiene Borghesi - arriva troppo tardi, oltre al fatto che le risorse rimangono ancora scarse. Il governo ha in sostanza messo nero su bianco solo adesso quanto l'Italia dei Valori chiede da tempo e quanto sarebbe stato opportuno fare molto prima per evitare che il Paese rimanesse indietro. Lo ha fatto, per altro, solo parzialmente - conclude l'esponente Idv - visto che non c'e' traccia di ammortizzatori sociali per quella consistente fetta di lavoratori rimasti senza contratto''.

Tremonti e l’anticrisi: vieni avanti, decretino!

Il governo ha varato un pacchetto di provvedimenti che è stato pomposamente definito “la manovra d’estate”. Il testo è provvisorio, ma i suoi contenuti sono in perfetto stile Tremonti: provvedimenti una tantum, di dubbia efficacia

I 25 articoli della bozza di decreto contengono misure per “contrastare la crisi” e anche molti altri interventi (rinvio della class action, stop ai ticket per la specialistica, aumento dei rimborsi a bond e azioni Alitalia, aumento dei soldati nelle strade, limitazioni sulla commissione di massimo scoperto). Non c’è l’ampliamento dei beneficiari delle social card, arriverà per via amministrativa, assicura il ministro Sacconi. Ci sono provvedimenti di entrata preparatori dello scudo fiscale, c’é l’ennesima rimodulazione dei fondi per le infrastrutture. Non c’è ancora la quantificazione definitiva delle risorse: dovremo aspettare, tanto per cambiare, la stesura finale del testo. Per ora accontentiamoci delle bozze.

UNA MANOVRINA DI BREVE RESPIRO – Il decreto contiene anche interventi condivisibili, naturalmente. Ma, a parte la propaganda di Tremonti e dei suoi agit-prop, sembra una “manovrina” di breve respiro. La stessa Confindustria, che pure lo giudica benino, ha parlato di un passo avanti non risolutivo. Tremonti, in parte giustamente, ha detto e ridetto – litigando pure con mezzo governo – che non farà mai una manovra in deficit. Ma il guaio è che i pochi soldi “riprogrammati” sono pure spalmati in uno spezzatino d’interventi eterogenei, di piccola entità e in gran parte transitori. Un decretino che aiuterà a riempire i giornali di dichiarazioni, che forse darà anche una piccolissima boccata d’ossigeno all’economia (e soprattutto al governo) per far passare l’estate. Ma definirlo “la spinta risolutiva per la ripresa dell’Italia” sembra davvero troppo. Lasciando perdere tagli, ritagli e frattaglie dello spezzatino (su cui torneremo durante l’iter parlamentare), diamo un’occhiata al cuore della manovrina, il pacchetto per bloccare la crisi: bonus per le imprese che non licenziano (con proroga della cassa integrazione), detassazione al 50% degli utili delle imprese rein­vestiti in macchinari, accelerazione dei pagamen­ti della pubblica amministrazione.

LA CASSA INTEGRAZIONE E IL LAVORO – Il decreto, all’art. 1, dà la possibilità ai lavoratori in Cassa Integrazione di allungare ulteriormente la durata dei trattamenti e di portarli fino al 100% del salario, frequentando corsi di formazione forniti dalla stessa impresa presso cui operavano. Se l’impresa non è decotta, il provvedimento può avere un senso. Ma quelle imprese purtroppo ormai senza futuro che razza di corsi di formazione elargiranno ai lavoratori? Inoltre, l’utilizzo del bonus per non licenziare dipende da quanto sarà il bonus, che verrà deciso da un decreto ministeriale da adottare entro un mese da quando il decreto diventerà legge. Se sarà basso sarà inefficace, se sarà alto costerà tantissimo all’erario. In ogni caso, le risorse non saranno aggiuntive, ma saranno trovate dentro il “Fondo sociale per l’occupazione e formazione” introdotto con il primo decreto anticrisi. Quindi, ormai ci siamo abituati, è il gioco delle tre carte: per coprire questo provvedimento si tolgono risorse già stanziate, sempre a favore di lavoratori in difficoltà.

I PRECARI DIMENTICATI – Ma soprattutto è incredibile che nel decreto non ci sia una riga per chi il lavoro l’ha già perso: precari e lavoratori temporanei, 400 mila persone (secondo i dati Istat di pochi giorni fa), di cui solo un terzo ha un sussidio di disoccupazione, e solo per qualche mese. Per loro non c’è nulla. Anzi, le norme introdotte serviranno a rendere più difficile per loro trovare un impiego alternativo perché le imprese in difficoltà, incentivate a tenere in busta paga i lavoratori in esubero, reagiranno bloccando le assunzioni. Infatti, Cgil, Uil e Ugl commentano perplesse il decreto. Chissà che penseranno i precari e i lavoratori a cui erano destinate le risorse del Fondo per l’occupazione di Bonanni, l’unico che applaude. E che penseranno di Tremonti, che denigra i dati Istat, facendo finta di non sapere che la rilevazione delle Forze di lavoro si basa su una metodologia strutturata ed utilizzata in tutti i paesi europei.

LA DETASSAZIONE DEGLI UTILI – Il provvedimento “principale”, all’art.5, è la detassazione al 50% degli utili reinvestiti dalle aziende in macchinari e apparecchiature, a cui si collega la svalutazione dei crediti in sofferenza, art. 7. Il provvedimento sarebbe una boccata d’ossigeno al sistema delle imprese che sono in gravissima difficoltà, con cali degli ordinativi e della produzione tra il 35 e il 50%. Ma è troppo poco. Perché è una misura temporanea: dura solo un anno. Perché per detassare gli utili ci vogliono gli utili, e di questi tempi non ce ne sono molti in giro. Perché vengono posti dei tetti e delle limitazioni ai benefici che, in un periodo come questo, rischiano di scoraggiare gli imprenditori. Perché i benefici fiscali si avranno solo a partire dalla prossima primavera, e la crisi morde oggi. Perché complessivamente le risorse a disposizione saranno (tra detassazione utili e svalutazione crediti) solo 1,324 miliardi nel 2009, e 2 miliardi nel 2010. E perché l’esperienza insegna che le passate leggi simili varate da Tremonti in tra il 2001 e il 2003 mostrarono, dopo l’effetto “stimolo” iniziale, un calo degli investimenti che erano stati solo anticipati per approfittare degli sgravi. Misure permanenti sarebbero più efficaci e comunque l’efficacia di strumenti per rilanciare l’investimento è tutt’altro che scontata, visto che la decisione di investire non dipende solo da convenienze fiscali.

L’ACCELERAZIONE PAGAMENTI PA - Sull’accelerazione dei pagamenti della Pa il testo è talmente deludente che non convince neppure chi valuta positivamente il resto del decreto. A meno di modifiche dell’ultim’ora, per il futuro è previsto solo che tutte le PA adottino entro il 31 dicembre 2009, senza nuovi o maggiori oneri, opportune misure organizzative per garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute”. Per il passato invece, i crediti esigibili nei confronti dei Ministeri (non i Comuni, né le Asl, quindi) iscritti come residui passivi per il 2009 sono accertati straordinariamente con decreto del MEF, e resi liquidabili nei limiti delle risorse a tal fine stanziate con la legge di assestamento del bilancio dello Stato” Traduzione: il nulla, nell’immediato. Non si sa se ridere o piangere. La dichiarazione di Tremonti in conferenza stampa sui 5 miliardi nelle pieghe del bilancio per questo scopo fa ridere. Il problema dei ritardi di pagamento non è di competenza, ma di cassa: un comune o un ministero non pagano i fornitori non perché se ne dimenticano, o perché non hanno i soldi iscritti in bilancio: Tremonti sa bene che nessuna PA può acquistare senza un formale impegno di spesa, altrimenti si viola la legge di contabilità. Non serve lo stanziamento di competenza, il problema è avere ANCHE il denaro in cassa. Ed è quello che ora scarseggia dentro le PA. Soprattutto nei Comuni, grazie all’abolizione dell’Ici. Davvero: non si sa se ridere o piangere.

GUADAGNARE TEMPO – Quando il testo definitivo del decreto legge sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale si potranno approfondire meglio i contenuti specifici. La sensazione è che si cerchi ancora una volta di guadagnare tempo scommettendo che la crisi passerà da sola, con la ripresa di USA, Cina e degli altri. Anche le misure migliori, tipo la detassazione degli utili, sono poco efficaci perché limitate nel tempo, per i tetti imposti e per la scarsità di risorse. Ma è la scommessa ad essere persa in partenza: se qualcuno pensa che DOPO le cose torneranno come PRIMA non ha capito nulla di questa crisi. Il credito facile che ha retto artificialmente per anni i consumi USA non ci sarà più. I mercati finanziari subiranno la crisi di solvibilità per anni. Il commercio mondiale rallenterà a lungo. E’ vero che la crisi è esterna all’Italia, ma proprio per questo le farà più male, e quando (non tanto presto) passerà, lascerà l’Italia più indietro di tutti, alle prese con i suoi problemi strutturali che la frenano da oltre 15 anni. Il governatore Draghi, ha ricordato che la crisi non è ancora finita, che va salvaguardata la capacità di spesa (di tutti) tenendo d’occhio il problema dell’occupazione (di tutti). Berlusconi fa spallucce, dicendo che tapperà la bocca a tutti. Ma questo decreto – pur con alcune cose condivisibili – è l’ennesimo specchietto per le allodole. Un provvedimento di un governo in affanno, dal fiato corto in un paese che ha pochi margini di manovra se non esce dalla “trappola” delle mancate riforme strutturali (evasione fiscale, pensioni e welfare, efficienza della PA). Un paese che rischia di affondare, come il Titanic, magari mentre si fa una bella festicciola, con in sottofondo le canzoni di Apicella.

«Scappo. Qui la ricerca è malata»

Lettera della precaria che scoprì i geni del linfoma

Una laurea in Medicina, due spe­cializzazioni, anni di contratti a termine: borse di studio, co.co.co, consulenze, contratti a progetto, l’ultimo presso l’Istituto di geneti­ca dell’Università di Pavia. Rita Cle­menti ( foto a sinistra), 47 anni, la ricercatrice che ha scoperto l’origi­ne genetica di alcune forme di lin­foma maligno, in questa lettera in­dirizzata al presidente della Re­pubblica Napolitano racconta la sofferta decisione di lasciare l’Ita­lia. Da mercoledì 1˚luglio lavorerà come ricercatrice in un importan­te centro medico di Boston.

Caro presidente Napolitano, chi le scrive è una non più giovane ricercatrice precaria che ha deciso di andarsene dal suo Paese portando con sé tre figli nella speranza che un’altra nazione possa garantire loro una vita migliore di quanto lo Stato italiano abbia garantito al­la loro madre. Vado via con rab­bia, con la sensazione che la mia abnegazione e la mia dedi­zione non siano servite a nulla. Vado via con l’intento di chie­dere la cittadinanza dello Stato che vorrà ospitarmi, rinuncian­do ad essere italiana.

Signor presidente, la ricerca in questo Paese è ammalata. La cronaca parla chiaro, ma oltre alla cronaca ci sono tantissime realtà che non vengono denun­ciate per paura di ritorsione perché, spesso, chi fa ricerca da precario, se denuncia è auto­maticamente espulso dal «siste­ma » indipendentemente dai ri­sultati ottenuti. Chi fa ricerca da precario non può «solo» contare sui risultati che ottie­ne, poiché in Italia la benevo­lenza dei propri referenti è una variabile indipendente dalla qualità del lavoro. Chi fa ricer­ca da precario deve fare i conti con il rinnovo della borsa o del contratto che gli consentirà di mantenersi senza pesare sulla propria famiglia. Non può per­mettersi ricorsi costosi e che molto spesso finiscono nel nul­la. E poi, perché dovrebbe adi­re le vie legali se docenti dichia­rati colpevoli sino all’ultimo grado di giudizio per aver con­dotto concorsi universitari vio­lando le norme non sono mai stati rimossi e hanno continua­to a essere eletti (dai loro colle­ghi!) commissari in nuovi con­corsi?

Io, laureata nel 1990 in Medi­cina e Chirurgia all’Università di Pavia, con due specialità, in Pediatria e in Genetica medica, conseguite nella medesima Uni­versità, nel 2004 ho avuto l’onore di pubblicare con pri­mo nome un articolo sul New England Journal of Medicine i risultati della mia scoperta e cioè che alcune forme di linfo­ma maligno possono avere un’origine genetica e che è dun­que possibile ereditare dai geni­tori la predisposizione a svilup­pare questa forma tumorale. Ta­le scoperta è stata fatta oggetto di brevetto poi lasciato decade­re non essendo stato ritenuto abbastanza interessante dalle istituzioni presso cui lavoravo. Di contro, illustri gruppi di ri­cerca stranieri hanno conferma­to la mia tesi che è diventata ora parte integrante dei loro progetti: ma, si sa, nemo profe­ta in Patria.

Ottenere questi risultati mi è costato impegno e sacrifici: mettevo i bambini a dormire e di notte tornavo in laboratorio, non c’erano sabati o domeni­che...

Lavoravo, come tutti i precari, senza versamenti pen­sionistici, ferie, malattia. Ho avuto contratti di tutti i tipi: borse di studio, co-co-co, con­tratti di consulenza... Come ul­timo un contratto a progetto presso l’Istituto di Genetica me­dica dell’Università di Pavia, fi­nanziato dal Policlinico San Matteo di Pavia.

Sia chiaro: nessuno mi impo­neva questi orari. Ero spinta dal mio senso del dovere e dal­la forte motivazione di aiutare chi era ammalato. Nel febbraio 2005 mi sono vista costretta a interrompere la ricerca: mi era stato detto che non avrei avuto un futuro. Ho interrotto una ri­cerca che molti hanno giudica­to promettente, e che avrebbe potuto aggiungere una tessera al puzzle che in tutto il mondo si sta cercando di completare e che potrebbe aiutarci a sconfig­gere il cancro.

Desidero evidenziare pro­prio questo: il sistema antimeri­tocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa Nazione. Una «buona ricerca» può solo aiuta­re a crescere; per questo moti­vo numerosi Stati europei ed extraeuropei, pur in periodo di profonda crisi economica, han­no ritenuto di aumentare i fi­nanziamenti per la ricerca.

È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no. Se il malcostu­me non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica con­seguenza quella di potenziare le lobby che usano le Universi­tà e gli enti di ricerca come feu­do privato e che così facendo distruggono la ricerca.
Con molta amarezza, signor presidente, la saluto.

Rita Clementi