L'Enciclica sociale di Benedetto XVI, spietata analisi della globalizzazione e della crisi della nostra società
No al precariato che, ormai endemico, ostacola i normali percorsi di vita, no alla delocalizzazione che porta allo sfruttamento, no all’abbassamento delle tutele di fronte ad un sindacato indebolito. Mai un Papa era entrato così in profondità nelle dinamiche economiche. L’enciclica «Caritas in veritate», nell’unanime approvazione di partiti e associazioni, stabilisce che Stato e mercato debbono convivere, il profitto non è peccato (ma basta con le disuguaglianze), la crisi finanziaria spinge verso un’autorità mondiale (l’Onu è inadeguata), l’impresa ha grandi responsabilità sociali, il lavoro decente è un diritto (no al precariato). Benedetto XVI sviscera la globalizzazione e proclama che gli immigrati non sono merce ma hanno pieni diritti, la finanza senza Dio causa povertà, l’etica deve vigilare sugli aiuti al Terzo Mondo per ridistribuire ricchezza, la pianificazione eugenetica minaccia l’umanità e l’ateismo ostacola lo sviluppo. «La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende d’intromettersi nella politica, però ha una missione di verità per una società a misura della dignità umana», precisa il Pontefice. Insomma, un sistema a tre soggetti (mercato, Stato, società) per una «civilizzazione dell’economia».
No alla giungla
Non va abbassato, dunque, il livello di tutela dei lavoratori. «L’estromissione dal lavoro per lungo tempo oppure la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale», ricorda il Pontefice teologo. Servono una «governance» della finanza globale alla luce della crisi e un’autorità planetaria per impedire che il terrorismo fondamentalista freni lo sviluppo dei popoli. Il Papa è preoccupato dalla diffusione dell’aborto e dell’eutanasia in un’epoca in cui la corruzione mette a rischio la democrazia e il cristianesimo è indispensabile per il progresso. La Chiesa approva l’economia di mercato, che però non deve diventare la giungla del più forte. Dopo il crac Madoff, Benedetto XVI condanna gli «strumenti sofisticati usati per tradire i risparmiatori», lo scandalo delle speculazioni, il saccheggio delle risorse e dell’ambiente da parte dei ricchi, la fame provocata «non da carestie ma da irresponsabilità». Rivaluta, invece, il ruolo e il potere dello Stato le cui leggi devono tutelare soprattutto la famiglia fondata sul matrimonio. La globalizzazione, ammonisce Benedetto XVI, va governata senza protezionismi. Al corretto funzionamento dell’economia serve l’etica, perciò nei paesi in via di sviluppo la cooperazione internazionale deve garantire a tutti acqua e cibo. La sessualità, poi, «non è un fatto ludico ed edonistico e il turismo sessuale è un fenomeno perverso».
Quale profitto?
Il Papa chiede agli Stati di regolare i processi economici e, come nel ’29, la bufera sui mercati è l’occasione per ripensare il modello di sviluppo. La precarietà lavorativa, infatti, causa degrado umano, specie se le multinazionali calpestano i diritti umani e i sindacati vengono indeboliti. Attenzione, dunque, ai gruppi di potere che distruggono il creato, cacciano Dio dalla sfera pubblica, separano la carità dalla verità riducendola a «sentimentalismo», ribaltano le organizzazioni internazionali in «burocratici e costosi» apparati. Se diventa l’unico fine, il profitto distrugge ricchezza, mentre occorre valutare gli impatti positivi di novità come gli Ogm di fronte all’emergenza alimentare. Il Pontefice stigmatizza la delocalizzazione delle imprese per puri fini speculativi e punta l’indice contro una nuova classe di manager strapagati priva di responsabilità sociale. «Investire ha sempre un significato morale, oltre che economico», avverte il Papa che raccomanda di «rafforzare l’esperienza della microfinanza» e loda la «fiscalità sussidiaria» (otto e cinque per mille).
Salvare l’uomo
«Realismo e speranza, nonostante la crisi e senza ingenuità», commenta il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian. Riconosce il carattere innovativo e avanzato dell’enciclica persino il leader della teologia della liberazione, Leonardo Boff: «Finora la Chiesa era apparsa più concentrata sugli affari interni, ma con questo documento dal taglio fortemente sociale compie una grande apertura al mondo». Benedetto XVI, osserva il portavoce papale padre Federico Lombardi, «è consapevole della complessità dei problemi attuali e non si affida a soluzioni ideologiche», bensì ad un progetto culturale basato sull’analisi approfondita della realtà. «Solo le regole salvano le persone e l’economia», è l’appello di Benedetto XVI. Dall’eugenetica all’aborto, «non si possono minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti di cui la cultura della morte dispone». Intanto la «grave riduzione delle reti di sicurezza» e i tagli alla spesa sociale, spesso promossi dalle istituzioni finanziarie internazionali», lasciano i cittadini impotenti di fronte a «rischi vecchi e nuovi», mentre per i governi «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità».
No al precariato che, ormai endemico, ostacola i normali percorsi di vita, no alla delocalizzazione che porta allo sfruttamento, no all’abbassamento delle tutele di fronte ad un sindacato indebolito. Mai un Papa era entrato così in profondità nelle dinamiche economiche. L’enciclica «Caritas in veritate», nell’unanime approvazione di partiti e associazioni, stabilisce che Stato e mercato debbono convivere, il profitto non è peccato (ma basta con le disuguaglianze), la crisi finanziaria spinge verso un’autorità mondiale (l’Onu è inadeguata), l’impresa ha grandi responsabilità sociali, il lavoro decente è un diritto (no al precariato). Benedetto XVI sviscera la globalizzazione e proclama che gli immigrati non sono merce ma hanno pieni diritti, la finanza senza Dio causa povertà, l’etica deve vigilare sugli aiuti al Terzo Mondo per ridistribuire ricchezza, la pianificazione eugenetica minaccia l’umanità e l’ateismo ostacola lo sviluppo. «La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende d’intromettersi nella politica, però ha una missione di verità per una società a misura della dignità umana», precisa il Pontefice. Insomma, un sistema a tre soggetti (mercato, Stato, società) per una «civilizzazione dell’economia».
No alla giungla
Non va abbassato, dunque, il livello di tutela dei lavoratori. «L’estromissione dal lavoro per lungo tempo oppure la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale», ricorda il Pontefice teologo. Servono una «governance» della finanza globale alla luce della crisi e un’autorità planetaria per impedire che il terrorismo fondamentalista freni lo sviluppo dei popoli. Il Papa è preoccupato dalla diffusione dell’aborto e dell’eutanasia in un’epoca in cui la corruzione mette a rischio la democrazia e il cristianesimo è indispensabile per il progresso. La Chiesa approva l’economia di mercato, che però non deve diventare la giungla del più forte. Dopo il crac Madoff, Benedetto XVI condanna gli «strumenti sofisticati usati per tradire i risparmiatori», lo scandalo delle speculazioni, il saccheggio delle risorse e dell’ambiente da parte dei ricchi, la fame provocata «non da carestie ma da irresponsabilità». Rivaluta, invece, il ruolo e il potere dello Stato le cui leggi devono tutelare soprattutto la famiglia fondata sul matrimonio. La globalizzazione, ammonisce Benedetto XVI, va governata senza protezionismi. Al corretto funzionamento dell’economia serve l’etica, perciò nei paesi in via di sviluppo la cooperazione internazionale deve garantire a tutti acqua e cibo. La sessualità, poi, «non è un fatto ludico ed edonistico e il turismo sessuale è un fenomeno perverso».
Quale profitto?
Il Papa chiede agli Stati di regolare i processi economici e, come nel ’29, la bufera sui mercati è l’occasione per ripensare il modello di sviluppo. La precarietà lavorativa, infatti, causa degrado umano, specie se le multinazionali calpestano i diritti umani e i sindacati vengono indeboliti. Attenzione, dunque, ai gruppi di potere che distruggono il creato, cacciano Dio dalla sfera pubblica, separano la carità dalla verità riducendola a «sentimentalismo», ribaltano le organizzazioni internazionali in «burocratici e costosi» apparati. Se diventa l’unico fine, il profitto distrugge ricchezza, mentre occorre valutare gli impatti positivi di novità come gli Ogm di fronte all’emergenza alimentare. Il Pontefice stigmatizza la delocalizzazione delle imprese per puri fini speculativi e punta l’indice contro una nuova classe di manager strapagati priva di responsabilità sociale. «Investire ha sempre un significato morale, oltre che economico», avverte il Papa che raccomanda di «rafforzare l’esperienza della microfinanza» e loda la «fiscalità sussidiaria» (otto e cinque per mille).
Salvare l’uomo
«Realismo e speranza, nonostante la crisi e senza ingenuità», commenta il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian. Riconosce il carattere innovativo e avanzato dell’enciclica persino il leader della teologia della liberazione, Leonardo Boff: «Finora la Chiesa era apparsa più concentrata sugli affari interni, ma con questo documento dal taglio fortemente sociale compie una grande apertura al mondo». Benedetto XVI, osserva il portavoce papale padre Federico Lombardi, «è consapevole della complessità dei problemi attuali e non si affida a soluzioni ideologiche», bensì ad un progetto culturale basato sull’analisi approfondita della realtà. «Solo le regole salvano le persone e l’economia», è l’appello di Benedetto XVI. Dall’eugenetica all’aborto, «non si possono minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti di cui la cultura della morte dispone». Intanto la «grave riduzione delle reti di sicurezza» e i tagli alla spesa sociale, spesso promossi dalle istituzioni finanziarie internazionali», lasciano i cittadini impotenti di fronte a «rischi vecchi e nuovi», mentre per i governi «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità».
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