TRENTO. Cento mila euro tra ferie non godute, tfr non versato e riposi saltati. E’ quanto dovrà pagare una cooperativa piemontese a cinque lavoratori trentini che hanno avviato una causa di lavoro per vedere riconosciuto il proprio inquadramento contrattuale. Per anni hanno contato milioni di euro dentro una sala da conta in corso Buonarroti. Ufficialmente erano dei co.co.co, in pratica non svolgevano alcun lavoro a progetto. Secondo il giudice, dunque, vanno pagati come lavoratori subordinati.
Questo significa rivedere completamente il contratto, con obbligo per la cooperativa di versare tutto quanto non pagato tra il 2001 - anno di inizio della collaborazione - e il 2003 quando i lavoratori smisero la loro occupazione.
Definire un «progetto» (elemento essenziale dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa) l’attività di conta quotidiana di migliaia e migliaia di banconote per poi riordinarle in mazzette e riconsegnarle agli agenti del trasporto valori sarebbe quanto meno forzato. Eppure era quello che per due anni questi cinque trentini - di età compresa tra i 20 e i 25 anni - hanno fatto come lavoro. Assunti come collaboratori parasubordinati dalla coop, i cinquie passavano otto ore della loro giornata nascosti in una sorta di bunker in corso Buonarroti, spiati senza sosta da alcune telecamere che ne controllavano ogni movimento. Lì dentro, in quella sala blindatissima, ogni giorno passavano milioni di euro in banconote di ogni taglio. Loro, i giovani lavoratori, dovevano riordinarle e contarle e poi restituire ai portavalori per il deposito in banca. Il denaro era di proprietà dei maggiori supermercati trentini e di alcune banche che lo consegnavano alla cooperativa per la conta e poi se riprendevano.
Per due anni, i cinque ragazzi hanno lavorato giorno e notte nei locali messi a disposizione dal datore di lavoro, soggiacendo al potere direttivo dell’azienda che - per motivi di sicurezza - li «spiava» di continuo. Finché, nel 2003, la cooperativa perse l’appalto sulla piazza di Trento ma lo vinse su quella di Bolzano. Chiese, allora, ai cinque di trasferirsi ma la trattativa non andò a buon fine e ai cinque «co.co.co» venne dato il benservito. I lavoratori si sono rivolti all’avvocato Gennaro Romano - il quale ha avviato una causa per dimostrare che quel rapporto di lavoro non aveva nulla della collaborazione, ma aveva tutto del rapporto subordinato. Dopo quattro anni di battaglia in tribunale, i cinque ragazzi l’hanno spuntata. A loro l’azienda - che ha sempre sostenuto la conformità al contratto dell’attività svolta - dovrà versare una cifra vicina ai 100 mila euro come risarcimento per tutti i diritti negati in due anni di contratto.
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