Le recenti riforme dello Stato destinate al miglioramento del sistema Universitario e dell’istruzione in Italia, hanno suscitato interesse non solo a livello nazionale ma anche a livello internazionale. Di recente sono stati pubblicati, su prestigiose riviste scientifiche internazionali come Nature Neuroscience e Embo Reports, interessanti articoli su questo argomento, sia da parte di autori italiani che stranieri, come l’articolo apparso in febbraio “When in Rome, reform. Radical reform of the Italian research and education systems is needed to address the lack of autonomy and lack of funding” di Marta Paterlini che riassume il punto di vista del legislatore e quello delle Università a riguardo della nuova legge.
In realtà, i principi ispiratori della riforma appaiono nobili soprattutto nell’aspetto che riguarda il sistema di valutazione della ricerca e dei ricercatori, basato su parametri scientifici internazionali quali l’impact factor, il “citation index”, la continuità temporale delle pubblicazioni ed il loro numero. La riforma intende premiare i ricercatori, strutturati o precari, che risultino “produttivi”. I ricercatori strutturati ed il personale docente delle Università riceveranno un bonus sul salario, mentre i giovani ricercatori in condizioni di precariato dovrebbero avere maggiori possibilità di accedere al ruolo di ricercatore grazie alle nuove indicazioni fornite dalla riforma a riguardo delle modalità di espletamento dei concorsi pubblici. La creazione di un “database” nazionale comprendente i risultati della ricerca auspicato dal Ministro Mariastella Gelmini e dai suoi Predecessori dovrebbe consentire una valutazione più obiettiva della produttività e permettere una distribuzione più efficiente e meritocratica dei fondi ministeriali destinati alla ricerca.
A questo proposito appare necessario puntualizzare alcuni aspetti riguardanti la particolare condizione della ricerca in Italia. La valutazione della ricerca sulla base di parametri scientifici oggettivi utilizzati dalla comunità scientifica internazionale è sicuramente da considerarsi un criterio valido di valutazione della produttività ma non del tutto sufficiente. Sarebbe opportuno, infatti, prendere in considerazione anche altre pratiche, come la brevettabilità o meno dei risultati stessi, soprattutto nell’ottica di attrarre investimenti privati che possano in qualche modo fronteggiare la riduzione progressiva di fondi destinati alla ricerca sostenuta ed applicata negli ultimi anni dal governo; o anche informazioni e direttive più precise da parte del legislatore di turno– in accordo con la Crui, con il Consiglio Universitario Nazionale e con gli altri Istituti di Ricerca - per quanto riguarda la distribuzione dei fondi all’interno delle singole Università ed Istituti. Ciò al fine di evitare che i ricercatori che hanno contribuito all’accreditamento della propria Università si ritrovino con una disponibilità di fondi e di personale assolutamente insufficiente per continuare i propri progetti di ricerca.
Un altro aspetto che ha suscitato interesse a livello internazionale, in quanto peculiarità del panorama italiano, riguarda le nuove indicazioni sulle modalità di reclutamento dei professori universitari e la situazione dei precari. La legge italiana prevede che, per l’accesso ai ruoli di ricercatore e di professore, i candidati debbano sostenere e superare un concorso pubblico. La commissione è costituita, secondo la nuova legge, da un professore universitario di prima fascia appartenente all’Istituzione, per cui è bandita la procedura di valutazione comparativa, e da altri due professori ordinari sorteggiati tra 12 professori ordinari eletti appartenenti al settore, per cui è bandita la valutazione comparativa o a settori affini. Per le procedure di valutazione comparativa a posti di professore di prima e seconda fascia, il numero dei Commissari è elevato a 5 e la commissione è costituita da un professore ordinario, nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando, e da quattro professori ordinari sorteggiati in una lista di commissari eletti tra i professori ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando. Un siffatto sistema di costituzione delle commissioni giudicatrici dovrebbe assicurare una maggiore trasparenza ed una selezione più meritocratica del personale docente e ricercatore ma, in sostanza, non migliora la condizione dei cosiddetti “precari” ossia di tutti quei giovani ricercatori che lavorano presso le Università e gli istituti di ricerca grazie a contratti e a borse di studio.
In realtà, indipendentemente dai cambiamenti politici in Italia, la finanziaria 2006 ha proposto un programma di stabilizzazione dei precari che riguarda il personale tecnico-amministrativo, escludendo chiaramente i ricercatori precari che sono sostenuti da contratti annuali e da borse di studio. Anche se la legge italiana non consente di accedere alla posizione di ricercatore e di docente senza superare un concorso pubblico, e dunque improponibile una stabilizzazione di tutti i precari come ricercatori, ci sembra altrettanto inadeguata la sostituzione del ruolo permanente di ricercatore con quella di professore-aggiunto temporaneo. L’art 49 della legge 133 del 2008, concernente l’utilizzo di contratti di lavoro flessibile, riporta che le pubbliche amministrazioni non possono ricorrere all'utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell'arco dell'ultimo quinquennio. E, a complicare le cose, vi è la nuova legge che prevede anche e soprattutto un taglio dei costi sostenuti dallo Stato per la ricerca. In queste condizioni, diventa quasi utopistico pensare che tutti i ricercatori precari possano aspirare ad una sistemazione permanente di professore aggiunto, unica posizione possibile al momento, considerato che il ruolo di ricercatore è stato abolito con una legge del 2005 e che tra meno di quattro anni operativamente non verranno più espletati concorsi per l’accesso al ruolo di tale nomina.
In sostanza, i giovani ricercatori a contratto, i borsisti, gli assegnisti saranno costretti a cambiare Istituzione regolarmente, impossibilitati a portare avanti una linea preferenziale di ricerca per lunghi periodi e con una crescente consapevolezza di non avere molte possibilità di ottenere un lavoro stabile. Situazione questa che li scoraggerà sempre più , promuovendo il loro esodo verso Paesi come il Regno Unito, la Francia, la Germania e gli USA che offrono maggiori opportunità di lavoro e stabilità lavorativa, salari più vantaggiosi e, aspetto non trascurabile, un’atmosfera lavorativa caratterizzata da laboratori ampi e ben attrezzati e dalla presenza di fondi per portare avanti le proprie ricerche.
Alla luce di tutto ciò che è stato detto, appare dunque improbabile che, nel panorama internazionale in cui l’Italia è chiamata a competere a livello politico, scientifico e finanziario, ci sia spazio per un rientro dei cervelli come i riformatori proclamano. La politica di rientro dei cervelli sostenuta dal Ministro Gelmini non può sostituire una politica interna rivolta a promuovere la ricerca scientifica e tecnologica nazionale ed a favorire la permanenza dei ricercatori in Italia. Gli scienziati, anche quelli italiani, non producono solo beni di consumo ma svolgono soprattutto un lavoro necessario per il miglioramento della condizione umana. Lo Stato, quindi, dovrebbe finanziare la ricerca in quanto fondamento della società moderna.
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