LA PETIZIONE DA FIRMARE

mercoledì 17 giugno 2009

Un'Italia che arranca

La grave crisi che stiamo attraversando colpisce soprattutto le famiglie dei lavoratori e le fasce più deboli della popolazione…. C'è un'Italia che arranca e non ce la fa… nell'indifferenza generale!

Insomma.it - In Italia l'emergenza sociale riguarda ormai circa 15 milioni di persone e si sa bene –ha detto il Papa recentemente a Cassino- “quanto sia critica la situazione di tanti operai, di tanti lavoratori, di tanti giovani. La ferita della disoccupazione induce i responsabili della cosa pubblica a ricercare delle valide soluzioni, creando nuovi posti di lavoro a salvaguardia delle famiglie”. Lo stesso messaggio, l’ha ribadito il cardinale Bagnasco, l’ha ricordato di nuovo Benedetto XVI all’assemblea della Cei. Infine, con parole drammatiche, è intervenuto il governatore della Banca d’Italia Draghi: “Le imprese proteggano i lavoratori”. Non è assolutamente vero che siamo fuori dal tunnel e che in Italia non ci sono più i poveri! Draghi ha riassunto i dati d’una situazione sempre più tragica: il prodotto interno lordo, cioè la ricchezza prodotta dal Paese, è calato del 5 per cento; il 10 per cento dei lavoratori ha perso già il posto. Sono numeri che inchiodano imprenditori, sindacati e classe politica a una maggiore responsabilità. Le azioni fin qui intraprese non hanno sortito effetti e l’Italia scivola, pericolosamente, verso il baratro sociale. Benedetto XVI nel discorso all’assemblea della Cei ha indicato chi ne fa le spese: “Nonostante le misure intraprese a vari livelli, gli effetti sociali della crisi non mancano di farsi tuttora sentire, ed anche duramente, in modo particolare sulle fasce più deboli della società e sulle loro famiglie”. Oggi queste fasce più deboli tendono ad allargarsi. Il lavoro precario inquieta sempre più famiglie. Chi dipende dai rinnovi contrattuali anno dopo anno, rischia di più. Sono i quarantenni e cinquantenni i più esposti a un lavoro che traballa. L’ultimo rapporto Istat fotografa una situazione tragica: l’industria espelle migliaia di lavoratori. Lo fa in silenzio, un licenziamento dopo l’altro, pochi numeri per volta, che messi in fila diventano spaventosi. Un lavoratore su due non ha la sicurezza del posto di lavoro. Rischio elevatissimo per chi ha 45-50 anni e una famiglia con i figli ancora in età scolare. Sono lavoratori che difficilmente troveranno un altro lavoro stabile. Passeranno gli anni futuri a fare capriole per campare, per sopravvivere! C’è un’Italia che arranca e sta male, cui non bastano gli ammortizzatori sociali. Il ministro del lavoro Sacconi, bisogna ammetterlo, aveva lanciato l’allarme, proponendo una “moratoria dei licenziamenti”, affidata al “buon cuore” degli imprenditori. Sarebbe stato un piccolo argine. Ma lo stesso ministro è stato preso in giro dalla sua baldanzosa parte politica. Quella proposta conteneva una provocazione e un’analisi della crisi che alla maggioranza non poteva piacere, perché avrebbe velato l’ottimismo di facciata che il governo deve trasmettere con tanto di plastificati sorrisi e pacche sulla spalla. Nel mondo incantato e surreale delle suggestioni medianiche non c’è posto per la povertà: crea imbarazzo! Perciò la questione sociale sembra non interessare, risulterebbe troppo deprimente pensarci, meglio distrarsi col gossip, le veline, le ville al mare, le barche, lo champagne, le vacanze -che molti ormai, non potendosele più permettere, son disposti ad indebitarsi con l’usura, pur di riuscirle a fare ancora esotiche!- Al lavoro precario corrispondono redditi più bassi. L’anno scorso, una famiglia su cinque ha avuto serie difficoltà ad arrivare a fine mese. Il 10 per cento delle famiglie non riesce a comperare cibo in quantità sufficiente e il 6 per cento non ce la fa a pagare le bollette. Eppure, sembra che questa Italia che arranca non interessi a nessuno, si continua a puntare solo su chi vive già un “relativo” benessere. Da tempo viene segnalata da più parti questa drammatica situazione. Basterebbe rileggersi l’ultimo Rapporto della Caritas sulla povertà in Italia. Ma quei dati danno fastidio, denunciano un’iniqua distribuzione del reddito nel Paese. Quando viene invocata una maggiore solidarietà sociale, ci si riferisce proprio a questo. Eppure degli esempi virtuosi ci sono: il “progetto di assistenza alimentare alle famiglie bisognose” condotto da METANOVA ed il “fondo di garanzia per il microcredito” gestito da FINETICA. Ma la solidarietà, al di là della privata e volontaria iniziativa, dovrebbe assumere un diffuso valore politico ed economico, traducendosi in atti pubblici e nell’impegno di risorse pubbliche più significative. Oggi ci sono due Italie che fanno vite parallele ignorandosi l’una con l’altra! Chi ha responsabilità di governo, ai vari livelli, avrebbe il compito di riunirle onde evitare conflitti sociali, privilegiando ovviamente coloro che stanno peggio, a cominciare dalle famiglie dei lavoratori.


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