LA PETIZIONE DA FIRMARE

lunedì 3 novembre 2008

IO SONO UN PORTATORE SANO DI SICURO PRECARIATO

Senza tarocchi e cartomanzie, il futuro dei ricercatori d’Italia, patria e madrina della 133, è alla ricerca di un porto sicuro o almeno meno insicuro di quello attuale. Appesi libri e dispense, abbandonate oscure biblioteche, dimenticata la Gelmini, ci s'imbarca su voli a basso costo, verso mete conosciute e paradisi felici.
Alla ricerca della felicità e alla conquista di lavoro, come minatori del ventunesimo secolo, i giovani dottori e dottorandi dell’università nostrana, molto strana, emigrano in massa verso l’estero. Come 'male che colpisce da decenni la ricerca nel nostro Paese'(Newton, 2002), o 'sintomo della crisi della ricerca e dell’università' (ADI 2001), il 'brain drain', ovvero la fuga dei cervelli in terre lontane, non arresta la sua portata. Questa volta, senza “voler fare gli americani e senza whisky e rock ‘n’ roll”, il fenomeno si presenta come un’ennesima migrazione necessitata dal nuovo look dell’istruzione italiana. Il moderno taglio della legge 133/08 promette 1.500 milioni di euro in meno (dal 2010) per i finanziamenti alle università, inaugurando anche la possibilità di trasformazione degli atenei in fondazioni private, col decurtamento sullo stipendio del personale e col pensionamento di quasi 2000 ricercatori precari. Ipotesi incoraggianti per la ricerca italiana, già all’ultimo posto in Europa per numeri di ricercatori, con una spesa pari all’1,1% del Pil, (la media OCSE è del 2,3%), inferiore a Francia (2,5%) e Finlandia (3%) ma superiore a Ungheria, Portogallo, Polonia e Repubblica Ceca (Annuario Observa). La percentuale, invece, di coloro i quali si ritengono impegnati nella ricerca e nello sviluppo in Italia, non supera il due per mille, contro una media europea del quattro per mille.
In accordo con il Rapporto della Fondazione Migrantes (Italiani nel mondo 2008), l’Italia perde continuamente le teste “intelligenti”, “partite e non ancora tornate”. A 5 anni dalla laurea 52 laureati su 100, non ritornano a camminare sullo stivale.
Nel 2002 i motivi per lasciare l’Italia erano: scarse risorse disponibili per la ricerca, condizioni economiche migliori e prospettive di carriera all'estero. Per non tornare: burocratizzazione della ricerca e carenza di tecnologia (Censis, 2002).
Dopo 6 anni di regresso “non ci resta che piangere”: stipendi ridotti all’osso e ore di lavoro interminabili non annunciano futuro migliore. Tra provvedimenti di rientro e controlli delle uscite (acchiappa cervelli mind in Italy), le fughe dal precariato sicuro non diminuiscono, con ben 294.767 laureati scappati nel solo 2005. Andare, camminare, lavorare, è dunque la sola via di sopravvivenza per dottorandi e dottori dell’Italia malata. 'Italia bella mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare/sennò ne vanno tutti in Brasile/e un si ricordan più di ritornare. Ancor qua ci sarebbe da lavorar/senza andar in America a emigrar. Il secolo presente qui ci lascia/il millenovecento s'avvicina; la fame ci han dipinto sulla faccia/e per guarilla'un c'è la medicina' (Italia bella mostrati gentile).

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