LA PETIZIONE DA FIRMARE

giovedì 25 giugno 2009

Cervelli al macero e milioni congelati

Il direttore de "Le Scienze" scrive sui precari dell'ISPRA

Ci sono davvero cose che fatico a capire, in questo paese di figli e figliastri. Da qui alla fine dell’anno 430 dipendenti di un istituto di ricerca, l’ISPRA, di cui ho parlato nel post precedente, non si vedranno rinnovato il contratto. Duecento di loro resteranno senza lavoro entro la fine di giugno. Cinque giorni.

Qualcuno dirà che c’è un sacco di gente che resta senza lavoro, e nessuno si straccia le vesti. Però. Però quando c’è di mezzo il futuro di interi istituti di ricerca – e resto convinto che la ricerca sia la sola forza che può trainarci fuori dalle secche in cui ci siamo infilati, con la compiacenza di politici, imprenditori e uomini di finanza – quando c’è di mezzo il futuro di tanti giovani laureati, con una professionalità, con competenze, con una dannata voglia di darsi da fare, beh mi pare che ci sia qualcosa che non funziona. Tanto più se il loro lavoro è legato al destino della ricerca sull’ambiente e della sua tutela, per le quali dovremmo avere un po’ più di rispetto.

Però. Però per un ente di ricerca che si vede privare di un quarto delle sue risorse – per ora quelle umane, ma poi c’è da scommettere che toccherà anche a quelle economiche – ce n’è un altro che ne ha, almeno dal punto di vista economico, una quantità strabiliante. Sì, sto parlando di nuovo dell’Istituto Italiano di Tecnologia, quello che dipende dal Ministero dell’economia e ha per presidente il direttore generale del Tesoro. Torno sull’argomento perché dell’IIT ha parlato di recente Roberta Carlini sull’Espresso, con un bell’articolo richiamato il 19 giugno da Laura Margottini su “Science”. Dal 2004 a oggi l’IIT ha ricevuto finanziamenti pubblici per 518 milioni di euro, e ne ha spesi 108. Resta, nelle banche genovesi, un patrimonio di 410 milioni di euro. Più di quattro volte l’impegno complessivo del MUR per tutti, dico TUTTI, i Progetti di ricerca di interesse nazionale per il 2008. Ne deduco – per quanto l’IIT giustifichi il patrimonio con il meccanismo dell’endowment delle fondazioni (peccato che le donazioni al MIT o ad Harvard siano prevalentemente private, e non denaro pubblico…) – che quelli dell’IIT devono essere progetti di interesse planetario, o siderale, addirittura, dato lo squilibrio di risorse che si è venuto a creare con tutti gli altri enti di ricerca.

Per dare altri termini di paragone, il patrimonio dell’IIT, che al momento conta 380 ricercatori, supera il 10 per cento del fondo ordinario assegnato nel 2008 a TUTTE le università italiane messe insieme (che solo di docenti di ruolo hanno oltre 23.000 dipendenti). Altro esempio: l’Istituto nazionale di fisica nucleare, fiore all’occhiello della ricerca italiana, conta circa 2000 dipendenti, tra ricercatori, tecnici e personale amministrativo, ma il numero di ricercatori arriva a circa 5000 unità, se si contano gli associati nelle università. E l’INFN è impegnato in prima linea con altissime competenze nella realizzazione di un progetto internazionale come LHC, solo per dirne uno (oltre ai laboratori sul territorio nazionale, da Frascati al Gran Sasso). Ebbene, il fondo ordinario dell’INFN è di 270 milioni di euro all’anno contro i 100 milioni all’anno dell’IIT.

I numeri non dicono mai tutto, ma aiutano a orientarsi in uno strano mondo in cui tre enti di ricerca – ISPRA, INFN, IIT – afferiscono a tre ministeri diversi, e hanno trattamenti alquanto diversi. È normale che, in un periodo di vacche magre, un governo selezioni direzioni strategiche della ricerca. Però sarebbe normale anche che spiegasse quali e perché. E magari anche perché la sua fondazione di ricerca di punta ha il consiglio d’amministrazione farcito di dirigenti del mondo dell’industria e della finanza.

È evidente che la ricerca ambientale – secondo la strategia attuale, ammesso che ce ne sia una – è meno importante di quella industriale, ed è chiaro che l’industria è alla finestra, che aspetta di sfruttare i potenziali risultati dell’IIT. Ma è giustificabile una simile sproporzione di investimenti di denaro pubblico? E, soprattutto, che cosa ci mette di suo l’industria italiana, per favorire l’innovazione? Altrove (sempre al MIT, che è l’esempio al quale ci si ispira) ci sono multinazionali come British Petroleum che investono milioni per fondare laboratori sulla ricerca energetica, finanziando un’università privata. Nel nostro mondo all’incontrario (sembra un sogno di Paolo Rossi, il comico) pare che lo Stato assegni fondi a un ente pubblico per metterlo al servizio degli interessi privati. Per non parlare dell’assegnazione dei fondi pubblici alla ricerca privata. Ma questa è un’altra storia, avremo modo di riparlarne…

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