LA PETIZIONE DA FIRMARE

martedì 26 maggio 2009

Il salario sotto pressione

Stipendi sempre più leggeri, spese quotidiane in aumento, tasse più pesanti. Una quadro dalle tinte molto fosche, aggravato dagli effetti della crisi economica. Cosa devono aspettarsi quindi i lavoratori più deboli come i precari o i giovani che si affacciano al mondo del lavoro? Chiediamolo a un esperto in materia: Agostino Megale, segretario confederale della Cgil, economista e da 9 anni direttore dell’Ires (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali). Di chi è la colpa se le buste paga italiane sono tra le più leggere tra quelle dei Paesi industrializzati?Del fiscal drag (l’aumento della pressione fiscale dovuto all’inflazione, ndr), del governo e di una mancata retribuzione delle produttività che, soprattutto negli ultimi anni, è andata più ai profitti che ai salari. Inoltre bisogna riconoscere che la crescita complessiva dell’Italia nell’ultimo decennio è stata decisamente più bassa del resto d’Europa. Una condizione che si è aggravata maggiormente con questa crisi. Ora, i fattori strutturali restano e se si vogliono riequilibrare i salari bisogna distribuire più produttività e ridurre le tasse sul lavoro.Che cosa sta facendo il governo sul fronte dell’economia per i giovani? Il governo sta tendendo di distribuire tanto ottimismo, ma il peggio deve ancora arrivare sia sul versante occupazione che sul versante famiglia. Sono, infatti, 7,5 milioni gli italiani vicini alla soglia di povertà. Inoltre, nella disuguagliane salariali sono due le categorie più colpite: i giovani e gli immigrati. A parità di lavoro i primi hanno il 29% in meno di salario, i secondi il 28%. È una situazione ingiusta e assurda. Ai neolaurati, immessi sul mercato del lavoro, vengono offerti contratti di collaborazione da non più di 700/800 euro al mese. Come si può pensare un futuro in cui gli under 35 non hanno diritto a ferie, previdenza o malattia e in cui guadagnano meno di un operaio specializzato? In questo modo si riduce anche il valore dello studio, della competenza e del sapere. E intanto sul tavolo della politica resta il nodo dei redditi da lavoro e, in particolare, del cuneo fiscale. Oltre alla differenza tra quanto le imprese pagano ai dipendenti e quanto finisce in tasca al lavoratore, il problema vero è la pressione fiscale sul lavoro, perché quello che va ridotto è l’Irpef che preleva le tasse tutti i mesi sui redditi dei dipendenti e sulle pensioni. Mentre ci sono oltre 3 milioni di evasori che sottraggono al Fisco 100 miliardi di euro di tasse. Se il governo Prodi ha ridotto il cuneo fiscale alle imprese, ora vanno ridotte le tasse sul lavoro e sui lavoratori. In questo modo gli stipendi aumenterebbero automaticamente di circa 100 euro al mese. Quando si parla di stipendi, tuttavia, non viene mai contemplato il mondo delle partite Iva che non è solo quello formato dagli imprenditori, ma riguarda tutti quei giovani ai quali troppo spesso, in mancanza di un contratto, viene richiesto di aprirla. È questa la “generazione mille euro” di cui tanto si parla? Mi rivolgo a questo milione e mezzo di giovani dicendo loro che la Cgil si è impegnata a presentare un progetto per riunificare le condizioni di tutti i lavoratori, comprese le partite Iva. A 10 anni dall’uccisione di Massimo D’Antona vorrei raccogliere il suo messaggio e immaginare che tutti questi giovani con un lavoro flessibile vengano pagati di più, dal momento che il lavoratori dipendente possono vantare l’art. 18. Altresì, gli vanno riconosciuti tutti quei diritti quali la previdenza, l’assistenza sanitaria, la malattie, le aspettative e le ferie. Insomma, bisogna allargare i confini del diritto del lavoro, fornendo di diritti e di tutele proprio la nuova generazione dei flessibili che si sono tradotti in precari. L’altra faccia della precarietà è il lavoro nero. Dopo i lavori flessibili e precari, c’è un altro dato non più accettabile: 3,5 milioni di lavoratori in nero, vale a dire il più alto tasso di lavoro irregolare in Europa. Si tratta di una concorrenza sleale perpetrata ovviamente dalle imprese o dai servizi e non di una condizione scelta dal lavoratore. Serve una proposta forte e coraggiosa che vincoli e premi sia l’impresa che il salariato. Una battaglia che deve diventare la nuova frontiera dell’azione e anche dell’innovazione sindacale.

Nessun commento:

Posta un commento