Il tema del mobbing e del precariato, l'eterna lotta contro i mulini a vento del Co.co.co
A volte scrivere è un modo per sfogarsi. A volte serve per capire meglio cosa ti è accaduto. A volte quello che scrivi può diventare il grido di una generazione: quella dei precari.
Roberta Palma, ha trent'anni e una splendida bambina, ora. Prima, invece, ha varcato la soglia di una grande azienda, quella che quando arrivi lì per un colloquio pensi : "Se mi prendono è fatta, è arrivato anche il mio momento". Varcare quella porta per Roberta, autrice di "Al diavolo piace il calcio", non è stato difficile, anche se, certo, prima si passa attraverso i colloqui, le pressioni, la paura, l'ansia, e i continui contratti mordi e fuggi di tante altre volte, ma questa volta non può essere la stessa cosa.
Sembra quasi automatico: mi impegno, riesco in ciò che faccio, lavoro bene per l'azienza che vuole credere in me. Bene. E invece no. Inizia il tiro a segno con il precario. Se prima tutti sembrano amici, ad un certo punto capisci che non è affatto così, che le battute, i piccoli colpi bassi hanno uno scopo preciso: metterti fuori gioco.
Roberta lotta contro se stessa, ci prova. Non si può mollare ora, non si può scappare perchè il capo "ce l'ha con te". Ma quando torni a casa e capisci che anche la tua vita fuori dall'ufficio non è più la stessa, che tu non sei più quella di prima, allora nella testa compare una parola che hai sentito, ma che forse non sapevi nemmeno bene che cosa significava: "mobbing".
Roberta Palma nel suo primo libro, racconta la sua esperienza in una grande azienza romana. Una scrittura fresca e diretta che arriva al cuore del problema e al cuore di chi quell'esperienza l'ha già vissuta, e apre gli occhi a chi, invece, ancora deve affacciarsi al mondo del lavoro. "Al diavolo piace il calcio" racconta di tutto quello che nessun lavoratore o lavoratrice dovrebbe subire. Mai più.
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