LA PETIZIONE DA FIRMARE

venerdì 24 ottobre 2008

Da Mao a Saviano, così l'onda anomala ha rotto i ponti con i "nonni" del '68

di Mario Ajello
ROMA (24 ottobre) - Siamo all’eterno ritorno del sempre uguale? No, l’attuale «onda anomala» - così quelli del nuovo movimento chiamano se stessi - non è e non può essere il patetico remake, quarant’anni dopo, del ’68. O la ripetizione, si spera senza violenza, del ’77. O la copia sbiadita della Pantera, che infuriò nei licei e negli atenei fra il 1989 e il 1990.
Qualche segno di continuità esiste («Non è che l’inizio», si legge adesso negli striscioni ed è ovvio il riferimento al «c’est ne que en debut» del famoso maggio parigino), ma tante differenze intercorrono fra questi vari momenti della rivolta studentesca. «Mai fidarsi di chi ha più di trent’anni», fu uno slogan del ’68 e nel 2008, invece, c’è un minestrone generazionale: i docenti, i ricercatori, le mamme... Il rischio è che gli adulti, cioè i «baroni» e i professori conservatori e corporativi, possano strumentalizzare i ragazzi. Sfruttando la rivolta per mantenersi stretti i privilegi di casta, compreso quello dell’immobilismo. Quanto ai genitori, fra i ragazzi si sente parlare così, in maniera poco sessantottesca e ancor meno settantasettina: «Non è che la mamma non mi capisce. Mi capisce e anche io la capisco. Eppure, non lo so: non ci capiamo. Non so se capisci». Madri così vengono considerate, dalla prole in lotta, preziosissime e più micidiali di mille Pd e di diecimila Idv per abbattere la legge Gelmini.
Nel ’68, c’era il casco da corteo. Nel ’77 il fazzoletto per coprire il volto. Nella Pantera c’era un leader che si chiamava Anubi (ed è rispuntato ieri in piazza a Roma, con un grido d’accompagnamento di un giovane compagno: «Anubi, non c’hai più l’età!») e tante kefiah palestinesi al collo. Nel 2008, invece, il look da protesta prevede in molti casi un ”fularino” new hippy che se non altro dà colore (le foto del ’68 sempre in bianco e nero: uffa!).
La violenza del ’77 - quando al grande storico Rosario Romeo i giovani «marxisti immaginari» ordinarono di interrompere una lezione minacciandolo con una P38 ma lui continuò - stavolta è irrintracciabile per il momento. Allora si gridava: «Vogliamo tutto!». Oggi, quasi come una supplica, si urla: «Non rubateci il futuro».
Il mito del ’68 era Mao. Quello del ’77 - oddiooooo!!!! - Toni Negri. E anche la Pantera aveva icone e identità ben definite, infatti si gridava: «La Pantera siamo noi, ma chi cacchio siete voi!». E oggi? Un po’ di Obama (ma non troppo), un po’ di Saviano (un po’ di più) e il Che Guevara già ampiamente de-ideologizzato sta sparendo pure dalle t-shirt. E ancora. Nel ’68 in piazza c’era pure la destra. Nel ’77, no. Nell’89 neppure. Nel 2008, un pò sì. E nel ’68, per gli studenti, svettava il mito del proletario in rivolta. Nel ’77 l’eroe era il sottoproletario. Durante la Pantera era il cittadino normale che non ne poteva più dei frivoli anni ’80 e si sentiva politicamente più libero e potenzialmente più innovativo, grazie alla caduta del Muro. E infine nel 2008 del «siamo tutti precari», è il precario - anzi San Precario - che dice basta e prova a sovvertire la propria sorte e malasorte generazionale.
E la politicizzazione delle altre edizioni? Questa se ne infischia del Pd e dell’opposizione politica, ed è raro che spunti uno striscione, personalizzato e mostrificante, dedicato a Berlusconi. O contenente qualche immagine collegata al pollaio politico e al ceto partitico che questi studenti non s’attardano neppure ad odiare.
Colpisce la forte differenza rispetto alla Pantera. Allora, ’89-’90, c’era la fine della stagione del disimpegno e il tentativo di riscoprire la politica. Oggi invece il movimento è tutto post-politico e «né rosa né nera, la cultura è la nostra bandiera», si canta in piazza. Aggiungendo: «Noi non pagheremo i vostri conti». Ossia, l’avversario è la finanza che vuole dominare la società, e l’istruzione e la ricerca non devono pagare il crac delle banche. Allora, nell’89-90, c’era la critica profonda alla tivvù («Abbasso Dallas», si gridava) e all’omologazione mediatica e questo significava in fondo un implicito anti-berlusconismo, anche se il Cavaliere non era ancora sceso in politica.
Ora invece l’ossessione anti-berlusconiana è roba per attempati girotondini e basta, la tivvù è considerata un ferro vecchio (ma se Santoro ti dà un siparietto te lo prendi) e il telefonino in piazza (io fotografo te e te fotografi me) sembra il sostituto del bastone da anni ’70 e allo stesso tempo è una nemesi: prima, se qualcuno ti immortalava, temevi fosse un poliziotto, ora invece è il compagno di lotta. Pure l’uso del cellulare insomma è cambiato. E speriamo che il cellulare resti quello col display e gli studenti (o i provocatori) non spingano a muoversi i cellulari classici: quelli con le ruote e con i celerini a bordo.

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